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La filosofia ecobiopsicologica mira allo studio della complessità del rapporto Uomo-Natura.

L'impostazione ecobiopsicologica, legando fra loro l'ambiente, il corpo dell'uomo e le sue manifestazioni psicologiche in un quadro unitario, comincia a dare epistemologicamente una risposta non più astratta ai dilemmi dell'uomo attuale.


Epistemologia

Il modello epistemologico dell’ecobiopsicologia, frutto di ipotesi, di ricerche e verifiche si propone di comprendere le cause (eziologia) e la dinamica (patogenesi) del fenomeno psicosomatico. Il modello ecobiopsicologico è stato approvato dal Consensus Statement sulla Medicina Psicosomatica e la Formazione psicologica del Medico nel maggio 1997, dalla SIMP (Società Italiana di Medicina Psicosomatica) filiazione italiana dell’International College of Psychosomatic Medicine. Il modello ecobiopsicologico si pone come la risposta teorica e concreta che rimanda alla complessità (dal lat. complexus = abbracciare e tenere insieme), paradigma di studio dei fenomeni psicosomatici, studiati in relazione sia al contesto sociale e culturale in cui si manifestano che alla rete di relazioni del rapporto corpo-mente, espressione delle dinamiche inconsce personali e collettive. Il modello ecobiopsicologico è anche particolarmente attento agli studi più recenti che affrontano il complesso rapporto mente-corpo come espressione di un “campo” capace di auto-organizzazione delle forze responsabili sia nella psiche che nel mondo naturale della vita. Ciò significa che la struttura di questo campo è in grado di organizzare sincronicamente non soltanto le immagini e le idee mentali, ma anche gli eventi somatici corrispondenti, in una visione olistica che pone al centro del proprio interesse la cognizione e l’autopoiesi. La cognizione va intesa come la “mente” che nelle forme viventi si identifica con il processo della vita; l’autopoiesi come quello schema vitale in cui ogni componente ha la funzione di partecipare alla produzione e alla trasformazione di tutti i componenti.


Psicosomatica

Il modello ecobiopsicologico, nello spostare il campo di osservazione dall’individuo alla relazione che i suoi organi ed apparati intrattengono con le immagini psichiche corrispondenti, considera l’uomo e la sua fisiologia come un “sistema organizzato” costituito da reti di relazioni, aperto a un flusso informativo. L’essere umano così concepito è inserito in reti più ampie quali la famiglia, la società e la cultura, che a loro volta fanno parte di un grande ecosistema naturale, in cui tutte le parti che lo compongono si corrispondono fra loro. In questa prospettiva il concetto di malattia viene considerato come il risultato di un’interazione di più fattori che possono essere studiati su vari piani. Al centro di queste relazioni complesse si pone il Sé archetipico, che costituisce un campo di forza in grado di ordinare la relazione fra gli eventi fisici e i loro correlati psicologici, quali gli affetti e le immagini psichiche. Lo spostamento da una visione atomistica e riduttiva dell’uomo e del mondo a una teoria del campo unificato, comporta che ogni evento fisiologico e psicologico sia espressione nell’individuo del suo campo archetipico o Sé psicosomatico. Sul piano della patologia le implicazioni di questa “unità di relazioni” comporta la possibilità di leggere la malattia come espressione di un disagio multifattoriale, in cui tutta la complessità della rete delle esperienze umane concorre nel determinare la manifestazione specifica.


Psicodinamica

Lo sviluppo del pensiero post-moderno nell’ambito della psicologia del profondo, ha comportato il venir meno di una teoria capace di spiegazioni globali, a favore di un’epistemologia della complessità, in grado di studiare i fenomeni da più punti di vista, senza mutilarli nella loro totalità. Questo nuovo paradigma si è tradotto in concezioni diverse, con l’unico scopo di definire sempre meglio e sempre più precisamente la relazione terapeutica. Termini moderni quali “intersoggettività”, “matrice relazionale”, “terzo analitico intersoggettivo”, per non citare che i più noti, hanno per fondamento l’idea di poter mettere al centro delle varie ipotesi psicodinamiche il bisogno primario della scelta relazionale, evidenziata dagli studi sull’attaccamento e sul trauma. In questa prospettiva la dimensione intrapsichica è pensata come complementare a quella relazionale, ed entrambe contribuiscono alla individualità e soggettività dell’individuo. Sul piano psicoterapico queste riflessioni si sono tradotte in un’esperienza psicodinamica che cerca di entrare in contatto con i diversi modi di organizzazione del sé, che nell’adulto operano secondo un continuum che va dall’inconscio alla coscienza. L’ermeneutica ecobiopsicologica, mettendo al centro del proprio interesse il campo archetipico, si pone oltre le moderne concezioni psicodinamiche relazionali, in quanto, recuperando il valore non solo dell’inconscio personale ma anche di quello collettivo, apre il terapeuta alla comprensione della totalità del paziente e del suo mondo. L’osservazione degli eventi fisici e corporei nella loro relazione con gli eventi umani , come il linguaggio, i simboli, i sentimenti, la cultura, ecc…, e la notazione che tutti questi aspetti che vengono sperimentati individualmente rimandano ad una totalità inconscia rappresentata dal Sé psicosomatico, permette al terapeuta di approfondire e di impadronirsi delle problematiche del paziente servendosi di modelli teorici diversi, mantenendo al consapevolezza che nessuno di questi può essere considerato assoluto.  Per questo, nella terapeutica ecobiopsicologica i modelli psicodinamici classici, quali quello della Psicologia dell’Io, delle Relazioni Oggettuali, del Sé di Kohut, vengono integrati con quello della Psicologia analitica junghiana, con i modelli più recenti delle neuroscienze e con lo sviluppo del simbolismo, allo scopo di permettere al terapeuta di cogliere sempre meglio e in modo più approfondito l’idea di corpo e di mente, di autonomia e dipendenza, di individuo e società, di cultura e natura, aspetti fra loro in relazione che solo in apparenza si escludono e si contraddicono, ma che in realtà costituiscono l’originalità e la ricchezza dell’essere umano.


L'immaginario ecobiopsicologico

Si riferisce all’immaginario mitico-archetipico di derivazione junghiana, in cui accade che le immagini scaturite dall’inconscio durante il processo terapeutico vengano elaborate ed integrate dal terapeuta, trasformando così la personalità del paziente nei termini di un miglior adattamento alla realtà e favorendo il suo processo di individuazione. La premessa teorica affinché il processo di individuazione avvenga è costituita dalla condizione che il processo immaginativo possieda in sé una funzione cognitiva di integrazione delle sensazioni e delle percezioni e una funzione “noetica” in grado di far accedere la mente all’esperienza empirica dell’intuizione intellettuale. Immaginare la realtà non implica soltanto adattare la psiche ad un’esperienza di controllo e di compensazione al reale, ma anche adattare l’Io immaginale a tutte quelle esperienze di amplificazione della coscienza, espressione di un “logos” dell’immaginazione, che si snoda per immagini e simboli tratti dai miti, dai sogni e dalle creazioni poetiche. L’Io immaginale, pertanto, non è un Io colmo di immagini, come accade negli stati dissociativi o nella droga, e neppure un Io colmo di cognizioni sull’immagine, ma semmai è un Io capace di comportarsi immaginativamente, cioè di liberare il potenziale creativo della nostra personalità. Le immagini proposte dalla tecnica ecobiopsicologica nella terapia immaginativa rispondono ai modelli autopoietici della vita, che attraverso la sollecitazione delle “analogie vitali” e dei simboli pertinenti si propongono di allargare la psiche del paziente alla comprensione della realtà psichica del mondo, delle cose, della loro “anima”, della loro inconscietà cioè,  per ridestare quella condizione di aisthesis, descritta dagli antichi come “pensiero del cuore”.