La Rete della Vita
a cura di Dr.ssa Alessandra Bracci*
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«Questo sappiamo che tutte le cose sono legate come il sangue che unisce una famiglia…
Tutto ciò che accade alla Terra, accade ai figli e alle figlie della Terra.
L’uomo non tesse la trama della vita; in essa egli è soltanto un filo.
Qualsiasi cosa fa alla trama, l’uomo la fa a se stesso».
Una leggenda narra che il 18 marzo di ogni anno si vede comparire, in una cappella posta nel cuore del Circo di Gavarnie nei Pirenei ove riposano sei templari, «un cavaliere del Tempio in tenuta da combattimento, con la lancia in resta e il famoso mantello bianco crociato di rosso al posto del sudario funebre. A lenti passi si dirige verso il centro della cappella, e qui manda un richiamo lacerante la cui eco si ripercuote in tutto l’anfiteatro montuoso: “Chi difenderà il Santo Tempio? Chi libererà il sepolcro di Cristo? A questo richiamo i sei templari sepolti si rianimano e si levano per rispondere tre volte: “Nessuno! Nessuno! Nessuno! Il Tempio è distrutto!”» (Corbin, 2010). L’eco di quelle voci risuona nelle pieghe del tempo e dei luoghi per richiamare ad una catastrofe al centro della storia universale: la distruzione del Tempio, la distruzione di quella forma che nella sua sacralità, è riflesso del mondo divino. Ma nel corso dei secoli, ricorre anche un’altra immagine trionfale, che oppone a questa apparente inevitabile disfatta, la volontà di una sfida permanente, ed è l’immagine della ricostruzione del Tempio, ove l’essere umano, perduta la sua anima, è chiamato ad un viaggio per ritrovare il significato della “cripta” e contribuire all’avvento del nuovo Tempio che assume le dimensioni di una restaurazione cosmica. Una vera e propria “eroica” ricerca di quel centro che “non è situato” in quanto “non è luogo”, alla quale viaggiatori di ogni epoca hanno dedicato la propria esistenza, ognuno con il proprio passo mostrando che non esiste alcuna frattura nella spirale della vita poiché essa, nella caleidoscopica varietà delle forme, si estende senza soluzione di continuità dalle più oscure profondità fino alle altezze più vertiginose. Non è da tutti avviarsi lungo un siffatto e periglioso cammino, ma ciò che conta è intraprenderlo e mantenere sempre vivo l’amore per la verità, quell’“amore” che consente all’essere umano di esprimere la dimensione più profonda e creativa della propria esistenza, di recuperare la propria esperienza di totalità, cercando di ritrovare quell’antica armonia con la Natura che costituisce la premessa vitale della sua stessa sopravvivenza.
Si tratta di un faticoso processo di trasformazione che investe, a livello individuale e collettivo, l’intera umanità: «la domanda decisiva per l’uomo è questa: è egli rivolto all’infinito oppure no? Questo è il problema essenziale della sua vita. Solo se sappiamo che l’essenziale è l’illimitato, possiamo evitare di porre il nostro interesse in cose futili, e in ogni genere di scopi che non sono realmente importanti. […] Se riusciamo a capire e a sentire che già in questa vita abbiamo un legame con l’infinito, i nostri desideri e i nostri atteggiamenti mutano. […] La più grande limitazione per l’uomo è il "Sé"; ciò è palese nell’esperienza: "Io sono solo questo!". Solo la coscienza dei nostri angusti confini nel "Sé" costituisce il legame con l’infinità dell’inconscio» (Jung, 2007). Può dunque l’uomo orientarsi verso tale nucleo originario, ad esso avvicinarsi e cogliere la propria totalità? Può muoversi nel labirintico percorso attraverso i più oscuri meandri della propria soggettività per compiere la propria metamorfosi? Quali caratteristiche psicologiche sono necessarie per attuare una tale trasformazione? In questa prospettiva le eterne domande dell’uomo sul senso della nascita, sul valore della morte, sul significato della vita e del suo progetto, sul perché del dolore o del piacere, diventano oggi le domande collettive più formulate.
Nell’eterno fluire dell’esistenza, il tempo si coagula in una forma, in un grumo di sensi secondo l’incessante processo che continuamente contempliamo nel farsi e disfarsi della materia. Se potessimo filmare la nostra esistenza personale, financo quella collettiva, e potessimo riprodurre la moviola e velocizzarne la sequenza all’infinito, la nostra effimera vita e quella dell’intera umanità, scomparirebbero! Ed è proprio in questo breve batter di ciglia che l’essere umano è chiamato ad andare oltre la frammentazione e le “false divisioni” potendo riconoscere l’arazzo finemente intrecciato che costituisce il mondo di cui fa parte e risvegliare la consapevolezza di vivere in un universo interconnesso. La scienza moderna, infatti, dimostra che non vi è separazione fra uomo e ambiente, fra mente e natura, perché entrambe fanno parte di una serie di relazioni costruite su un modello a rete, che rende ogni nodo di esso relato agli altri nodi del sistema. Le recenti scoperte nel campo della biologia, dell’epigenetica, della fisica, della psicosomatica, etc. evidenziano la necessità di una metodologia e di criteri teorici di riferimento capaci di evolvere per accedere ad una visione trans-disciplinare e “a rete” del fenomeno che chiamiamo Vita.
Una visione del mondo che cerchi di intrecciare tutti i livelli – personale, sociale, collettivo e spirituale – in un modello il più possibile coerente, costituisce per l’individuo una necessaria ricerca di ordine, che va a riattivare gli archetipi universali e il loro divenire individuale, espresso non solo nelle vicende umane ma anche nella storia biologica e psicologica del corpo e della mente dell’uomo che ripete analogicamente le leggi del Macrocosmo, ove la parola “cosmo” racchiude nella sua dinamica due significati strettamente affini: l’ordine che è presente nell’Universo e che pertanto sarà presente anche nell’uomo e, l’armonia che ne regge le sue leggi immutabili che si esprimerà nell’uomo come sintesi di parti armonizzate nel tutto, come continuum biologico, psicologico e spirituale che si snoda nelle infinite metamorfosi filogenetiche, in un progetto virtuale che ha come fine la propria coscienza individuata. L’ecobiopsicologia, come sviluppo delle scienze della complessità e in accordo con le moderne teorie evoluzionistiche, propone un modello che ambisce a porre in relazione i codici semiologici delle forme del vivente e i loro particolari linguaggi (aspetto ecologico) con gli analoghi linguaggi del corpo umano, che sedimentano in sé la filogenesi del mondo (aspetto biologico) per poi ritrovare tale relazione fra “mondo” e “bios” umano negli aspetti psicologici e culturali dello stesso, grazie ai miti, alla storia delle religioni e alle immagini collettive dell’umanità (aspetto psicologico).
È in questo senso che possiamo parlare dell’uomo come “Creatura Integrale” che, nell’accezione più profonda del termine, esprime quella dimensione radicata nella sua fisicità che diviene “tempio” vivente della propria progressiva emancipazione cosciente verso l’unità, quella dimensione che non è stata ancora ordinata secondo quella costante armonica che definiamo come legge universale e che nel suo procedere verso l’integrazione, apre la coscienza a significati non prevedibili e trascendenti l’ordinario. Per accedere a quanto vive occulto nell’intimo “santuario” della propria anima, non è possibile avvalersi di una semplice logica descrittiva “lineare”, quanto piuttosto di una lettura “circolare” capace di integrare la conoscenza razionale con il valore irrazionale dell’empatia ed una fondata consapevolezza dell’essenziale interazione ed interdipendenza di tutti i fenomeni: fisici, biologici, psicologici, sociali, culturali e spirituali. È necessario privarsi della vista esteriore che incatena l’essere umano ai bisogni entro cui imprigiona la propria esistenza, è necessario accogliere la graduale destrutturazione di ogni egoismo, è necessario sacrificare l’illusoria speranza di felicità proiettando nell’altro da sé il proprio bisogno di completezza, per aprirsi ad una vista interiore capace di andare oltre le barriere erette dalla volontà egoica ed abbracciare l’invisibile e l’inudibile.
Solo attraverso il superamento delle proiezioni dell’Io si può avviare il proprio cammino verso una piena e vera trasformazione che presuppone il dolore e la sofferenza come mezzo privilegiato di conoscenza e consapevolezza di un senso di appartenenza ad una comunità di ordine più generale, quella costituita dalla Vita: noi tutti siamo parte integrante della “famiglia terrestre” e in quanto tali dovremmo comportarci come fanno gli altri membri di questa famiglia – piante, animali, microorganismi – che formano quella vasta rete di relazioni nota con l’espressione la “Rete della Vita”. Questa rete vivente globale si è dischiusa, evoluta e diversificata nel corso di miliardi di anni senza mai rompersi. Come membri della comunità globale, è necessario che anche l’uomo sia in grado di sviluppare la propria progettualità in modo tale da non interferire con la natura della Vita. L’essere umano, parte integrante dell’universo intero, non è che un passeggero su questa terra che, di fronte allo sfaldarsi del tempo, è chiamato ad oltrepassare la soglia per accedere ad una rinnovata lettura del flusso della Vita entro il quale è costantemente immerso. Come direbbe Diego Frigoli «Il vero spirito dell’uomo integrato non ha l’obiettivo di distruggere le forze naturali, ma piuttosto di dominarle, di adattarle, di porle al servizio del proprio sviluppo interiore. In altre parole la coscienza umana deve prima dissolvere dall’interno tutte quelle tappe corporee della filogenesi, specchio individuale delle potenze cosmiche della vita. Solo con questa premessa la coscienza in corso di individuazione può aderire con il proprio movimento interiore, sempre più rapido perché ad impronta non più egoica, a quel più vasto movimento che regge la vita stessa. Ed allora in quel contatto vivificante la coscienza stessa dell’uomo diventa protagonista di quella danza eterna che trasmuta continuamente il divenire» (Frigoli, 1985).
Il problema, dunque, non è solo rispondere alle urgenze dettate dall’inquinamento, dall’esaurimento delle risorse disponibili, dalla sovrappopolazione, da un sistema economico ossessionato da idee di crescita e di espansione, dal decadimento politico, religioso, etc. quanto piuttosto iniziare ad guardare in profondità dentro noi stessi fino a che non iniziamo ad essere presenti a ciò che sta cercando di emergere: mentre stiamo ancora cercando strumenti e processi per tamponare ed arrestare una crisi che si impone, convinti della nostra supremazia sulla Natura, inebriati dai nostri successi e dalle nostre incredibili conquiste, non siamo ancora riusciti a controllare la nostra più intima natura, a comprendere il tumulto di emozioni che si agita nei diversi livelli del nostro “mare interno”, ad accettare la crudezza dei nostri limiti e al tempo stesso la grazia e leggerezza che sperimentiamo nella materia dei nostri sogni, a mantenere vivo il fuoco della nostra più profonda ricerca, nonché a scoprire il prezioso oro nascosto nelle nostre profondità.
L’eco di quella lontana voce continua a risuonare: «Chi difenderà il Santo Tempio?»: ogni cambiamento si origina da qualche parte, si avvia in ogni essere umano … chiunque di noi. “Nessuno” ha il diritto di stare a guardare aspettando che altri facciano quello che egli non è disposto a mettere in atto personalmente.
Cambiare o non cambiare: questo dunque non è il dilemma! Siamo testimoni di una gara fra punti di non ritorno e, alla luce della teoria della complessità, sappiamo che tali punti di instabilità possono portare tanto a danni quanto ad innovazioni. Come direbbe Albert Einstein, la coscienza che ha creato il problema non può essere quella che lo risolve, pertanto il “superamento” si caratterizza con un innalzamento del livello di coscienza: il problema non viene risolto in modo logico, non viene rimosso, ma appare sotto un’altra “luce”. Mentre ad un livello inferiore si resta bloccati in una situazione di crisi che possiamo definire “patologica”, ad un livello più elevato, a cui chiunque potenzialmente può accedere, si dispiega un ampliamento della coscienza capace di reggere la tensione degli opposti, di riconoscere la legittimità di entrambi e di integrare nuovi orizzonti. Si pone l’accento sulla “mentalità” necessaria alla comprensione della dimensione simbolica che può consentire ai protagonisti del mondo globale di approcciare gli eventi potendo cogliere non soltanto l’aspetto visibile ed immediatamente percepibile della realtà, delle persone, delle informazioni e degli eventi ma anche di penetrarne in profondità le articolate connessioni.
A partire da tale premessa, il progetto denominato “La Rete della Vita” intende incontrare Ricercatori appartenenti alle più svariate discipline per accogliere la loro “lettura” non solo del tempo attualmente vissuto dall’umanità quanto anche della “rivoluzione delle coscienze” che occorre mettere in atto. La spinta al cambiamento si fa sempre più intensa e risulta necessario rinforzarla ed in-formarla contribuendo a legare assieme le varie conoscenze proposte da differenti discipline sui medesimi ambiti della realtà, permettendo alle teorie costruite sui fatti empirici da parte di ciascuna scienza, di trovare un accordo che permetta una sorta di criterio interno di verità e una prospettiva mirata di sviluppo integrato. Nel mentre del nostro più sincero ringraziamento a tutti i Ricercatori che hanno accettato di aprire un dialogo con la nostra Scuola, coltiviamo la speranza di poter procedere insieme lungo il necessario processo di metamorfosi collettiva della coscienza.
Immagine. Leonardo da Vinci, Fiore della Vita in Codex Atlanticus, fol. 309v, particolare, 1478 - 1519
*Dr.ssa Alessandra Bracci - Manager presso una multinazionale automotive e vincitrice di premi nazionali ed internazionali nel marketing. Capo Redattore della rivista MATERIA PRIMA - Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica. Autrice di pubblicazioni in ambito scientifico.