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Intervista a Daniela Lucangeli

Intervista a Daniela Lucangeli
a cura di Dr.ssa Costanza Ratti*
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«Per far crescere un bambino che diventa un adulto che possa far luce dentro di sé è necessario che abbia a fianco adulti che sanno fare la loro parte di adulti, I care, mi prendo cura di te, ti ho a cuore, “ho a cuore cosa senti tu, di te”» (Daniela Lucangeli)

 

Nei primi decenni del Novecento, mentre la psicoanalisi apriva la strada all’esplorazione dell’inconscio sotto la coscienza, dell’infante dentro l’adulto, dei bisogni primari dietro le competenze, la psicologia dello sviluppo, guidata da Jean Piaget, studiava e osservava i bambini nei contesti reali cercando di individuare i loro passaggi di crescita e di sviluppo. In questo clima di riscoperta della vita mentale, Lev Vygotzky, psicologo e pedagogista russo, coniò uno dei concetti più fecondi della scuola storico-culturale, la Zona di Sviluppo Prossimale, ovvero quell’area di sviluppo potenziale che il bambino poteva raggiungere grazie all’aiuto di altre persone più competenti. Concetto intuitivo e rivoluzionario al tempo stesso, la ZSP, acronimo con cui è spesso comunemente indicata, attribuiva all’ambiente un ruolo cruciale nello sviluppo cognitivo – e non solo cognitivo – del bambino, anticipando l’idea su cui confluirono più tardi i risultati delle scienze, sia in campo psicologico con la teoria dell’attaccamento, sia nel campo della biologia molecolare e delle neuroscienze. La rete eco-bio-psicologica nella quale siamo immersi, se virtuosa, feconda e dunque vitale, ci offre gli strumenti per crescere e diventare ciò che siamo con la ricchezza unica del nostro sentire; quando invece soffre di mancata coesione e connessione, risuona internamente in noi con la stessa divisione.
Oggi gli studi più recenti ci confermano che l’individuo non è il prodotto determinato dei suoi geni bensì un essere di straordinaria complessità alla cui formazione concorrono in maniera co-causale e interdipendente le sue predisposizioni spontanee e le componenti sociali, emotive, cognitive, affettive del suo ambiente. Geni e ambiente. Natura e cultura. Nature e nurture. Noi e gli altri. Se solo ci soffermiamo un istante a pensare che il nostro DNA è per oltre il 97% silente, ovvero non codifica per alcun gene, eppure serve, cioè contiene memorie filogenetiche del passato, indicazioni di struttura, riserva di geni in caso di deterioramento e molto materiale in avanzo per il futuro; che ciascuno di noi possiede un genoma determinato ma anche un’impronta molecolare sensibile all’ambiente e trasmissibile di generazione in generazione che legge e interpreta la sequenza del DNA modificandone l’espressività (epigenetica); che possediamo degli speciali neuroni motori (neuroni specchio) che si attivano simmetricamente al solo vedere un’altra persona muoversi, allora sarà sempre più chiaro che gli altri, gli altri che ci circondano, possono essere “cosa sacra”, come confidava Seneca a Lucilio nelle sue lettere, cioè potenziali “catalizzatori di funzioni umane” (Lucangeli, 2020) e noi al tempo stesso possiamo essere “catalizzatori” per gli altri.
Questo concetto è al cuore del percorso umano e professionale di Daniela Lucangeli, docente di psicologia dello sviluppo presso l’Università di Padova, psicopedagogista esperta nei disturbi del neuro-sviluppo, promotrice del modello di apprendimento centrato sulle emozioni B612, ricercatrice nel campo delle scienze cognitive e, non da ultimo, scrittrice del suo nuovo libro “A mente accesa. Crescere e far crescere”.
Con umanità, passione e rigore scientifico, in questa intervista, insieme ai ricchissimi contributi che offre sulle riviste accademiche, ma anche sui suoi seguitissimi canali social, la professoressa Lucangeli getta uno sguardo sotto la superficie, sotto la schiuma delle onde, per iniziare a interrogarci insieme su come diventare il contenitore pulsante del nostro sentire e di quello dei nostri bambini affinché, in virtù di questa risonanza, possiamo creare la forma unica e sempre più armonica della loro e della nostra “rete della vita”.

Nel web sta circolando una bellissima frase: "Tutto ciò che ho vissuto nella mia vita mi ha preparato per questo momento". Come questa affermazione è vera per lei? Qual è la domanda su cui si fonda la sua ricerca e cosa c’è al cuore del suo lavoro?
Al cuore della mia ricerca non c’è una sola domanda, ce ne sono tante! Fin da piccola, lo dico all’inizio del mio libro, mi domandavo “Sotto che c’è? E più sotto che c’è? E se guardo sotto sotto, che trovo?”. Mi stupivo che gli altri bambini non si chiedessero ad esempio perché le stelle sono luminose e bellissime e la sabbia morbida. Ero vissuta come bizzarra dagli altri però ero accettata perché ero docile, non davo fastidio nella mia modalità di vedere le cose. Ciascuno di noi si porta dentro delle coloriture del proprio sé che sono ricchissime ma, per qualche motivo, noi pensiamo di dover prendere la forma mentis degli altri… eh, no! Continuo a domandarmi cosa c’è più sotto ma adesso lo faccio con la consapevolezza di avere anche un punto di forza. E questo dialogo interiore mi è talmente connaturato che tuttora guida la mia attitudine di ricerca. Di solito una persona di studio e di scienza, proprio perché ha studiato, valuta come applicare quello che ha studiato. Per me è sempre stato il contrario. È dalla domanda della situazione che non sapevo risolvere che mi sono messa a studiare. Ogni bambino che ho incontrato mi ha posto una domanda e da quella domanda è nato il passo di conquista successivo a livello di scienze. È per rispondere a loro che mi sono messa a studiare. Ho sempre cercato di mettere insieme la donna di scienza con l’umano che sono, perché per me vita e ricerca non sono parallele ma sono intrecciate e unite. Questo è il mio concetto di scienza servizievole, una scienza che parte dalla domanda sull’altro, siamo in una lettura etica del nostro compito. Se no, lo studio diventa un’eco dell’ego e questo non è servizievole…

Nel suo libro “A mente accesa. Crescere e far crescere” cita una frase di Seneca “Homo sacra res homini”, l’uomo è cosa sacra all’uomo. Questa è un’intuizione su cui si fondano le professioni educative e di cura. Cosa ci dice oggi la scienza rispetto al ruolo dell’Altro nella crescita e nello sviluppo della mente umana?
La mente è qualcosa di straordinariamente complesso; la coscienza, l’autocoscienza sono processi straordinari di cui sappiamo poco in realtà. Tutti a scuola abbiamo studiato che siamo un sistema nervoso centrale e periferico ma siamo molto di più di questo. Non siamo solamente tessuti nervosi attraverso cui passano le informazioni ma abbiamo un intero self, organismo. Tanto è vero che per spiegare il cervello arrivo sul limite della correttezza scientifica e dico che abbiamo neuroni non solo nel cervello ma anche nel cuore, nei polmoni, nell’intestino, neuroni nel derma. Addirittura, la pelle è intessuta di neuroni che si chiamano c-cells che sono direttamente collegati alla centralina nel farci sentire il contatto, la consolazione, il conforto, oppure il pizzicare, il dolore. Il nostro self, cioè l’intero sé vivente, non solo intellige ma anche sente; intellige e sente. Perciò quando deve tracciare delle memorie, non traccia solo l’evento cognitivo ma traccia anche l’emozione con cui le informazioni sono state apprese. E quando ritorniamo a prendere dal cassettino della memoria ciò che abbiamo imparato, riprendiamo non soltanto le informazioni che ci abbiamo messo, ma anche le emozioni con cui l’abbiamo tracciato. E questo vale anche per il corpo. Ti faccio un esempio. Io ho una cicatrice sulla gamba che mi sono fatta a due anni quando mi sono ferita lo stinco dallo scivolo. In quel punto la pelle ha cambiato le cellule molte volte nel corso della mia vita e in un periodo di tale plasticità che non dovrei avere la cicatrice; eppure la cicatrice è ancora lì, perché? Perché c’è una memoria cellulare, una memoria che è epigenetica e che dice a tutte le celluline successive “stai attenta, stai attenta a non ferirmi più”. Il corpo cellularizza le memorie per ricordare di non incorrere più nello stesso errore. Cioè, riassunto: quel tessuto è stato colpito con informazioni che il radar, intessuto fino al mio stinco, ha percepito importanti per proteggermi nel futuro; me ne lascia un segno, mi ricorda che è pericoloso dimenticarsi di parti del corpo. C’è un’intelligenza, un’armonia nella memoria del dolore, che è necessaria. Fino a che non si supera con consapevolezza resta a dirtelo: “è pericoloso”. Lo dico con la convinzione dello scienziato che conosce come l’informazione neuro-elettrica stabilizza le memorie sulle cellule.
Ora, se io sono una struttura vivente e sono connessa a ogni punto del mio self, questa immagine di radar senziente deve entrare in connessione con un altro radar senziente che in questo caso sei tu. Come ci entro in contatto con te? Con il tatto, innanzitutto, che è il primo senso che si sviluppa nell’embrione e l’embrione sente le carezze materne dal grembo attraverso vibrazioni. Pensa che il tatto passa per vibrazioni così come un soffio che in questo momento arriva a muovere nel derma dei neuroni speciali, appunto le c-cells, che sono collegati direttamente alla nostra centralina, il nostro brain, in quella parte antica delle emozioni. Se il contatto in quel momento è fatto con cura, e non per violare ovviamente, arriva subito come warm, una connessione calda, emozionale, affettiva. La mappa delle connessioni attraverso cui il nostro intero radar fa esperienze e apprende è stata chiamata connettoma. Per darti un’idea, il cervello gemma connessioni in millesimi di secondo a seconda delle informazioni che riceve; dunque in questo momento ciascuno di noi ha milioni di miliardi di connessioni. E cosa interviene a modificare tutto questo? Le informazioni che stanno entrando e che, in qualche modo, seminano qualche cosa di nuovo e potano qualcosa di vecchio. Se pensi che questo processo avviene in millesimi di secondo, prova a moltiplicare per i secondi, i minuti, le ore ecc., ottieni un numero che tende all’infinito che è il potenziale di trasformazione di quel connettoma in funzione di sé stesso e dell’ambiente.
Questo è il concetto di neuro-plasticità, la capacità del sistema nervoso centrale di modificare la propria struttura, connettività e funzione, in relazione all’esperienza. Considera che Il nostro cervello è sempre plastico, il nostro connettoma continua a modificarsi fino all’ultimo giorno della nostra vita, ma in certe finestre di tempo la neuro-plasticità è massima. Mi riferisco in particolare ai primi mille giorni di vita e poi all’adolescenza (in cui avviene una grande attività di potatura delle connessioni), quei periodi critici, in cui il nostro cervello subisce le maggiori trasformazioni e i circuiti neurali sono più sensibili alle influenze provenienti dall’ambiente. Nei primi mille giorni le influenze esterne possono causare persino modificazione epigenetiche e influire dunque sull’espressione del fenotipo. Quindi homo sacra res homini perché io non posso diventare il meglio del mio intelligere e del mio sentire se non attraverso il come sono connesso a te che lo nutri, da quando arrivo al mondo fino a quando sono in completa autonomia.

Il corpo è una dimensione umana che è stata a lungo trascurata nella nostra tradizione culturale oppure, come accade talvolta ai nostri giorni, se ne fa uso come se fosse un oggetto da mostrare, ammirare, enfatizzare con la palestra, i trattamenti estetici ecc., senza entrare in una connessione profonda con i suoi bisogni. Cosa ne pensa?
Sai, il concetto di self include anche il corpo; prendersi cura del self significa prendersi cura anche del corpo. La cicatrice di cui ti parlavo prima per esempio è lì a dirmi “Svegliati, devi ascoltare il tuo corpo, i suoi bisogni”. Io sto facendo una specie di battaglia pacifica nel rendere consapevole me stessa, insieme agli altri, che noi non siamo abitati da una mente, come se mente e corpo fossero due entità separate e come se solo quello che è cosciente rappresentasse ciò che noi siamo, scegliamo, viviamo. Se continuiamo a scindere i concetti restiamo dentro un meccanismo di bias di ragionamento, perché il dolore che prova una parte del corpo, lo sento anche nella mente. Qualunque parte del mio me è collegata con l’intero, e la mia mente e le mie strutture viventi sono un flusso informazionale sincrono. Ora nel momento in cui noi facciamo l’errore di pensarle come condizioni che pur nelle specificità, sono in dialogo costante, oppure, pur nelle specificità, sono tra loro indipendenti, ecco che a seconda del modello che prendiamo, rischiamo di rimanere parziali nella visione. Perché in realtà senza questo circuito vivente non sperimenteremmo ciò che in ogni istante sperimentiamo, cioè l’esserci.
Quando scindiamo uno di questi elementi che compongono il circuito vivente creiamo delle distorsioni nel pensare a noi stessi. Ti faccio un esempio di questo bias. Quando proviamo gioia nel nostro corpo si attiva il circuito dopaminergico. L’amigdala rilascia delle dosi di un neurotrasmettitore fondamentale per l’umore con l’attivazione della dopamina; in pratica è un meccanismo biochimico che determina una ricompensa che fa sì che tu stia meglio. Ma se noi pensiamo che il circuito dopaminergico corrisponda alla gioia stiamo facendo confusione. È come se confondessimo una sinfonia di Mozart con le note che la compongono, certo che nella gioia c’è la dopamina, nella sinfonia le note, ma non sono la stessa cosa. Noi siamo diventati una specie che non riconosce la differenza tra la gioia e il neurotrasmettitore che la determina e va in cerca del neurotrasmettitore ora con il cibo, ora con la musica, ora con il sesso, ora con le droghe, ora con la tecnologia. Cioè se la procura. Questa è una visione parziale. Se noi siamo un self che intellige e sente in sincrono, allora una carezza fatta con calore e affetto non è soltanto un contatto piacevole per il corpo, è ben altro, è un’informazione per tutto il self. Lo stesso se la carezza è adoperata con altre finalità. I bambini sentono con il loro radar intessuto nel corpo non solo le informazioni dichiarative ma la parte calda vivente che le accompagna. Quindi ad esempio, non basta dar loro una pacca sulla spalla, che pure è un contatto fisico, se quell’azione non è accompagnata dalla fiducia che abbiamo in lui. Allo stesso modo non basta dirgli verbalmente che le difficoltà le può superare ma bisogna farglielo sentire, prenderlo per mano e accompagnarlo passo a passo. Quindi, non c’è contraddizione tra il lavorare su un disturbo specifico e lavorare sull’intero sistema, perché ciascuno di noi è un organismo vivente di formidabile complessità – un sistema appunto – e quando l’informazione che arriva è sistemica e armonica, crea connessione. Per far crescere un bambino che diventa un adulto che possa far luce dento di sé è necessario che abbia a fianco adulti che sanno fare la loro parte da adulti, I care, mi prendo cura di te, ti ho a cuore, “ho a cuore cosa senti  tu, di te”.

A questo proposito, nel nostro approccio ecobiopsicologico diamo grande valore all’immaginazione come una funzione che riesce a coniugare pensiero e sentimento in un’unità armonica. Quanto secondo lei è importante l’immaginazione nell’accendere la mente?
L’immaginazione è una facoltà straordinaria della nostra mente. Ci sono tre vie con cui la mente scambia ed elabora informazioni. La prima è “da dentro a fuori: quando vado nelle mie memorie e porto fuori delle informazioni, non solo le conoscenze dichiarative ma anche il modo in cui le dico, ad esempio il rossore, la voce tremante, le emozioni che arrivano all’altro e determinano una reazione. “Da fuori a dentro” quando ricevo informazioni dall’esterno sottoforma di parole, comportamenti, emozioni ecc. E poi c’è il processo “dal dentro al dentro”, ovvero l’elaborazione, la trasformazione delle informazioni in entrata e in uscita, il mio connettoma che trasforma quello che sei tu in quello che io ti riporto, arricchito di me, delle mie memorie, errori e bisogni. “Dal dentro al dentro” è la trasformazione attiva, è la vita mentale. È il modo che il sistema ha di comunicare con sé stesso e di esprimere la propria unicità. In ciascuno dei miei alunni io ritrovo un gemmare di tante diverse possibilità di rispondere alle sfide della vita. E in quella trasformazione c’è anche l’immaginazione in cui sta il futuro di ciascuno. L’immaginazione è una facoltà che implica trasformazione. Non è puro fantasticare. Nell’immaginare c’è qualcosa che appartiene proprio alla psiche nel senso inteso dagli antichi come “respiro, anima, soffio vitale”, l’elemento sacro che risiede in ciascuno di noi. Laicamente la intendo un po’ come un sesto senso aristotelico, un’intuizione, capace di integrare in un’informazione armonica tutti i livelli di percezione e di aprire la nostra mente a una comprensione più ampia delle cose.

Il Corona virus è una pandemia che ha portato alla luce allo stesso tempo limiti e risorse, debolezze e potenzialità della nostra società e della nostra psiche. In che modo, secondo lei, questo tempo può diventare uno stimolo per creare sempre maggiore connessione e consapevolezza sia a livello collettivo, sia a livello individuale?
Qui dobbiamo fare una distinzione tra piano individuale e piano collettivo. Prima che un evento acquisisca un senso sul piano della collettività spesso è necessario moltissimo tempo, non sappiamo quanto, e nel frattempo le persone stanno soffrendo profondamente questa pandemia. Forse sul piano individuale questa situazione può smuovere qualcosa nel breve periodo, ma per la società nel suo insieme il processo richiederà più tempo, magari molto tempo. Quando siamo in periodi tempestosi, come quello che stiamo vivendo oggi, accade che il mare porta a galla tutti i detriti e così oggi la pandemia fa emergere tutte le condizioni di verità che in qualche modo erano velate. Se tu mi chiedi qual è il positivo, il positivo è che sono emersi, che sono venuti alla luce. Se mi chiedi qual è il negativo è che le persone non sanno come raccogliere questi detriti e fare pulizia dentro sé stessi. Per questa ragione sto cercando di fare un po’ di alfabetizzazione emotiva con delle riflessioni condivise sui social, con il libro, le interviste. Adesso farò dei webinar in cui parlo scientificamente di dolore, morte, paura della malattia, do delle spiegazioni che sono soltanto degli anticipatori concettuali, che però consentono di capire qualcosa in più di come funzioniamo e magari attivano il desiderio di saperne di più. Perché rischiamo di essere completamente analfabeti, e quando dico “mente” non mi riferisco al cognitivo ma proprio alla parte del radar profondo che è completamente sconosciuta.
Qui torna il concetto di scienza servizievole ed entra in gioco il rapporto tra l’io e il noi. L’io dipende dagli altri ma gli altri siamo noi, quindi l’io dipende da noi, ma anche il noi dipende dall’io. Tutti gli studi dagli anni Sessanta del Novecento ci hanno spiegato che l’immagine di noi dipende dal messaggio delle persone che ci sono vicine. Narciso sa di sé perché si specchia. Così i nostri neuroni speciali, chiamati neuroni specchio, neuroni mirror, sono capaci di determinare l’imitazione differita dell’intenzione dell’altro. Quindi noi creiamo informazioni su noi stessi soprattutto dallo specchio umano che sono i noi affianco all’io anzi, affianco a me. Se la nostra mente è al buio e non sa conoscere il proprio stato e non sa sentirsi, non può aiutare l’altro a rispecchiarsi e, in un momento come questo in cui siamo messi alla prova, rischiamo di cadere. Conoscerci profondamente e ammettere che oltre alle vulnerabilità noi siamo anche dei punti di forza è soltanto un inizio, però faccio del mio meglio. Ciascuno di noi riesce a vedere oltre il proprio limite perché, come dice Bernardo di Chartres, “siamo sulle spalle dei giganti”, perché chi ci ha preceduto ci ha preso sulle spalle, ma nessuno di noi è immune al dolore e alla sfida continua con i propri limiti. Tutti noi abbiamo bisogno di andare oltre l’ostacolo che ci blocca e trovare un nuovo passo da fare. Questo è il rapporto tra l’io e il noi, e il contributo che possiamo dare. Siamo sulle spalle dei giganti, ma non ci è concesso di non camminare.

Bibliografia di riferimento
Lucangeli D. (2020). A mente accesa. Crescere e far crescere. Milano: Mondadori
Lucangeli D., Vicari S. (2019). Psicologia dello sviluppo. Milano: Mondadori Università
Caviola S, Mammarella I.C., Lucangeli D., Cornoldi C., (2014). Working memory and domain-specific precursors predicting the success in learning written subtraction problems. Learning and Individual Differences, in Learning and Individual Differences, 36, 92–100
Sella F., Re A.M., Lucangeli D., Cornoldi C., Lemaire P., (2012). Strategy Selection in ADHD Characteristics Children: A Study in Arithmetic, in Journal of attention disorders, vol. 23, pp. 87-98

*Dr.ssa Costanza Ratti: Laureata in lingue orientali e in psicologia, poi dottore di ricerca in antropologia ed epistemologia della complessità, si è specializzata in psicoterapia presso l’Istituto Aneb. Lavora come psicologa e psicoterapeuta presso Fondazione Esperia a Milano e collabora con l’Associazione Aneb. Ha pubblicato: Il sacrificio nell’Israele antico (2017) e “Le nozze delle Vergini (Mt 25,1-13). Corpo, psiche e spirito del femminile in una prospettiva ecobiopsicologica” (2020).

Immagine del banner: copertina del libro di Daniela Lucangeli, A mente accesa. Crescere e far crescere, (pubblicazione autorizzata dall'autrice)