Intervista al Prof. Nuccio Ordine
a cura di Dr.ssa Alessandra Bracci*
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Nel costante slancio dell’uomo verso la natura infinita, nella sua progressiva emancipazione cosciente verso l’unità, accompagnato dalla tensione verso la conoscenza della Verità, da ritrovare dentro e fuori se stesso, il solitario investigatore del cosmos simbolico percepisce nella pluralità delle forme l’esistenza di un principio unico ed insondabile che infinitamente si dispiega. Ed è proprio nel tentativo della coscienza umana di affrontare la Natura che, il filosofo Montaigne, ci ricorda che il ricercatore-cacciatore sa bene che «l’inseguimento e la caccia sono il nostro vero scopo» perché «siamo nati per andare in cerca della verità; possederla appartiene a una potenza ben più grande», ossia l’inseguimento e la caccia sono i soli scopi dell’uomo di fronte alla potenza ben più grande degli Archetipi. Una responsabilità che chiama all’appello ogni singolo essere umano invitato a riscoprire le tradizioni, comprese quelle culturali, che non significa – come direbbe Malher – «adorare la cenere», ma «tenere vivo e acceso il fuoco». Un processo paziente che sfugge alla logica moderna in cui ogni cosa può essere meccanicamente acquisita, in cui ogni cosa ha il suo prezzo, per aprirsi ad una dimensione di tutt’altra natura, frutto esclusivo di uno sforzo individuale, ove nessuno può compiere la fatica del nostro percorso. Nessuno può imporre un ritmo differente da quello scandito dalla nostra natura più profonda, nessuno può vivere al nostro posto la crisi che accompagna ogni destrutturazione degli schemi concettuali edificati dall’Io e che apre un varco verso una dimensione più totalizzante e… senza che ce ne accorgiamo, il Sé lavora manifestandosi in impulsi di creazione imprevisti.
È lungo il cammino di ricerca che incontriamo Nuccio Ordine, professore ordinario nell’Università della Calabria e Presidente del Centro Internazionale di Studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani. Fellow dell’Harvard University Center for Italian Renaissance Studies e della Alexander von Humboldt Stiftung, è stato Visiting Professor in prestigiose università. Membro d’Onore dell’Istituto di Filosofia dell’Accademia Russa delle Scienze, membro dell’Académie Royal de Belgique e del Consiglio scientifico della Treccani, ha ricevuto sei dottorati honoris causa. Commandeur delle Palmes académiques e Chevalier della Légion d’honneur in Francia, è Grande Ufficiale dell’OMRI in Italia. Dirige diverse collane di classici e collabora al “Corriere della Sera” e a “El País”. Diventato una delle voci più autorevoli nel panorama della filosofia contemporanea a livello nazionale ed internazionale, la sua instancabile ricerca lo porta alla condivisione e pubblicazione di testi che spaziano dalla proposta di specifici modelli di esegesi filosofica a testi di ampia divulgazione, quali l’ormai noto "L'utilità dell'inutile", un bestseller tradotto in 32 Paesi, un vero e proprio manifesto che con grande intensità ci ricorda che «in una società in cui viene ritenuto utile solo ciò che produce profitto, non ci si rende conto che tutti quei saperi ritenuti inutili, perché non producono profitto, sono fondamentali per l’umanità».
"Tutto ciò che ho vissuto nella mia vita mi ha preparato per questo momento", come questa affermazione è vera per lei? Qual è la domanda su cui si fonda il suo lavoro? Cosa c’è al cuore della sua ricerca?
C’è sempre un nesso, esplicito o implicito, tra ciò che accade nella nostra vita e le scelte che abbiamo compiuto in precedenza. Non ho mai creduto alla nozione di “destino”. Senza escludere naturalmente il peso del “caso” (ciò che non è né prevedibile, né governabile), ho sempre pensato che noi siamo responsabili di ciò che ci accade. Ogni nostra parola e ogni nostra azione segnano il nostro futuro. Machiavelli diceva che bisogna prepararsi a cogliere la Fortuna: per afferrarla, è necessario pre-vederla. La dea bendata, infatti, veniva rappresentata nell’iconografia tradizionale con un ciuffo di capelli davanti e calva dietro: vederla passare, senza prepararsi ad acciuffarla, significava non poterla afferrare e, quindi, perdere l’occasione. Per questo, ho avuto una forte empatia con i pensatori della “responsabilità”: noi siamo arbitri della nostra vita, del nostro destino. Ogni forma di “predestinazione” mi è sempre apparsa come un invito alla “deresponsabilizzazione”: se la mia vita è già scritta perché dovrei darmi da fare? Invece no. Forzare il caso, forzare tutto ciò che non dipende da noi è un dovere: significa essere fabbri del proprio destino.
Nascere in una casa senza libri e da genitori che non hanno studiato, vivere in un piccolo paese del Sud senza librerie e biblioteche, senza teatri e spazi culturali, non significa essere condannati all’ignoranza. Così, grazie soprattutto all’incontro con buoni professori, ho potuto coltivare la mia passione: leggere e studiare prima, e poi insegnare. Un mattone dopo l’altro, con tantissimi sacrifici e nonostante i continui scoraggiamenti, ho potuto costruire la mia “felicità”: fare ciò che amo, giorno per giorno e per tutta la vita…
Il Corona virus è una pandemia che va ben oltre una crisi sanitaria per quanto critica ed estesa a livello globale. È una pandemia che affonda le sue radici nel “riduzionismo” tipico dei nostri sistemi economici, politici, educativi e che ignora i limiti della reale capacità biologica del nostro pianeta sfruttandone le risorse vitali, mentre utilizza insufficientemente le capacità umane. Cosa ne pensa?
Abbiamo vissuto in primavera e stiamo rivivendo adesso un’esperienza unica, con pesanti risvolti drammatici. Non solo per la perdita di vite umane, con un prezzo altissimo pagato dai più “deboli”: ammalati con altre gravi patologie, persone povere senza assistenza sanitaria (si pensi a ciò che è accaduto nelle favelas brasiliane) e un’intera generazione di anziani spazzata via con un colpo di spugna.
Educazione e salute sono i due pilastri su cui si fonda la dignità umana (il diritto alla vita e il diritto alla conoscenza) e, nello stesso tempo, lo sviluppo della società. La pandemia ha smascherato i disastri provocati dalle rapaci politiche neoliberiste: istruzione e sanità hanno subito tagli terribili negli ultimi decenni. Trasformare scuole/università e ospedali in aziende ha finito per considerare gli studenti e i pazienti come clienti. Il disastro è sotto gli occhi di tutti.
L’epidemia può rappresentare un’occasione per ripensare le nostre priorità a diversi livelli: dalle politiche industriali, a quelle sanitarie e quelle scolastiche. È inaccettabile, infatti, che beni così importanti per affrontare questa crisi – penso per esempio alle mascherine – non siano prodotti in Italia. L’esperienza che stiamo vivendo deve stimolarci a migliorare e non danneggiare ulteriormente questi settori. In particolare, vorrei soffermarmi sulla didattica: per fronteggiare l’emergenza, stiamo ricorrendo agli strumenti virtuali e ai corsi telematici. Non abbiamo scelta in questo momento. Mi preoccupano assai, però, alcune dichiarazioni di rettori e professori che considerano l’insegnamento telematico come il futuro della didattica universitaria. Trasformare l’emergenza in normalità è pura follia, è un gravissimo segno di irresponsabilità. Solo l’insegnamento in classe, l’esperienza umana che professori e studenti compiono assieme, può garantire un’autentica trasmissione del sapere. Bisogna essere molto vigili e opporsi con forza a quest’ulteriore tentativo di squalificare il ruolo dell’insegnante: la “buona scuola” passa necessariamente per dei buoni professori, che lavorano quotidianamente in classe con i loro studenti. Nessuna piattaforma digitale potrà cambiare la vita di un allievo. Si parla di massicci investimenti nel digitale, ma non si pensa per nulla alla progressiva diminuzione dei docenti e ai loro stipendi inadeguati. A cosa servirà la tecnologia senza buoni professori?
Lo stesso neoliberismo rapace ci ha mostrato che stiamo assassinando il nostro Pianeta per massimizzare i profitti. La questione dell’Amazzonia è eloquente: un irresponsabile Presidente che favorisce lo sfruttamento e il disboscamento, dimenticando i danni irreversibili provocati all’ecosistema e alla vita stessa dell’intero Pianeta (l’Amazzonia è un importante polmone della Terra) …
Albert Einstein raccontava che le nozioni di base che lo condussero alla formulazione della teoria della relatività erano emerse quando lui aveva immaginato di “viaggiare su un raggio di luce”. Qual è il ruolo dell’immaginazione nella creazione di nuovi scenari futuri?
Il ruolo dell’immaginazione è fondamentale nella scienza e, in generale, in ogni aspetto della nostra vita. Einstein lo ha detto e scritto più volte: la scienza senza la creatività non ha futuro e la creatività ha bisogno dell’immaginazione e della curiositas per essere coltivata. Ecco perché specializzare gli studenti sin da fanciulli (come oggi si vorrebbe fare) è un suicidio programmato della scienza e del sapere: i giovani devo essere stimolati alla più grande curiosità, devono essere educati alla voracità, devono essere incoraggiati a divagare tra i saperi senza alcun limite. Poi ci sarà tempo per specializzarsi. Ma senza una cultura di base molto ampia e solida non ci potrà essere nessun futuro per la ricerca scientifica e anche per lo sviluppo della vita civile e della democrazia.
Tutto ciò sembra essere incompatibile con i valori di una società utilitaristica, dove è utile solo ciò che produce profitto e denaro: l’umanità, al contrario, ha bisogno anche (e direi, ora più che mai) di quei saperi considerati ingiustamente “inutili” perché non producono guadagni. La letteratura, la scienza di base, la filosofia, l’arte, la musica ci insegnano che il “tempo non è denaro”: ci insegnano che “perdere tempo” significa “guadagnare tempo” per noi, per la nostra vita, per le nostre relazioni affettive, per capire ciò che amiamo. E, soprattutto, per avere coscienza del fatto che la “velocità” non può essere un valore assoluto. Al contrario: abbiamo bisogno di coltivare la “lentezza” per amare, per imparare, per avere cura di noi stessi e degli altri. Del resto, Einstein diceva: solo una vita vissuta per gli altri è una vita che merita di essere vissuta! Un balsamo contro le violente ideologie sovraniste che inquinano il mondo, fomentando odio, razzismo, violenza, xenofobia e egoismi di ogni sorta…
Al di là delle “divisioni” religiose e dei differenti “credo”, quale è l’importanza della dimensione spirituale e come renderla concreta nel nostro quotidiano?
Non bisogna confondere la dimensione “spirituale” con le religioni, soprattutto quelle che promettono nuove vite in un mondo diverso dal nostro. Ho sempre considerato con fastidio le affermazioni di alcuni uomini di chiesa sulla necessità di “credere” in una divinità per dare un “senso” alla propria vita. Non è vero. I non credenti possono dare ugualmente un senso fortissimo alla loro vita coltivando i grandi valori dello spirito: la solidarietà umana, l’amore per la giustizia e per il bene comune, la difesa dei diritti civili e dell’uguaglianza. E in questa la cultura e i saperi “inutili” giocano un ruolo fondamentale per rendere l’umanità più umana. Le Chiese per secoli hanno favorito un processo di devalorizzazione della vita terrena, in nome di una vita ultraterrena: hanno permesso ai ricchi e ai potenti di sfruttare i più deboli, promettendo agli “ultimi” una ricompensa in un improbabile aldilà. Papa Francesco ha cambiato radicalmente la rotta: gli ultimi devono essere difesi qui, durante la loro vita terrena. Dare voce ai senza voce e essere solidali con poveri e indifesi significa dare un senso fortissimo alla propria vita. Ecco perché non credenti e credenti possono trovare su questo terreno della fratellanza universale una maniera di coltivare, ognuno a proprio modo, una forte spiritualità…
“Essere il cambiamento” da un lato è un concetto appassionante perché ricco di potenziale, ma dall’altro tocca paure profonde. Se la trasformazione della totalità richiede un cambiamento interiore su una scala che molti non hanno mai sperimentato, siamo davvero pronti per questo cambiamento? Quali sono le capacità e le conoscenze che, a livello individuale e collettivo, è necessario sviluppare o potenziare per contribuire ad una comprensione più autentica della vita e per scoprire chi siamo veramente e che cosa vogliamo diventare come società?
Cambiare è inevitabile. Sarebbe difficile, o impossibile, concepire una vita senza movimento e senza le mutazioni necessarie che ogni movimento porta con sé. Noi siamo sempre in viaggio e in cammino. L’esperienza di Ulisse ci insegna – penso alla bellissima poesia (Itaca) di Kavafis – che non è la meta il nostro vero obiettivo: noi diventiamo ricchi durante il viaggio per arrivare a Itaca e le esperienze che vivremo navigando ci cambieranno e faranno di noi esseri in cui la nostra “unicità” si trasforma continuamente. Siamo il frutto di una dialettica costante: siamo il risultato di un confronto-scontro tra permanenza e mutazione. Ma anche in questo caso bisogna intendersi sulle parole: ciò non significa che conta solo il “nuovo” (futuro) e che il “vecchio” (passato) è obsoleto. Sarebbe un errore gravissimo pensare la “mutazione” senza tener conto delle “permanenze” che caratterizzano il nostro essere e la nostra unicità.
Il cambiamento in grado di fare la differenza avviene nella profondità del nostro cuore. Quanto c’è di vero in questo?
Ci sono cambiamenti che ci vengono imposti e che noi accettiamo acriticamente. Si pensi alla funesta ideologia del consumismo: bisogna sempre cambiare per stare al passo con i tempi. No, le cose non stanno sempre così. Anzi, al contrario, spesso “conservare” e difendere ciò che viene considerato ingiustamente “obsoleto” significa resistere ai falsi cambiamenti che ci vengono imposti. Ma non c’è dubbio che per capire dobbiamo imparare a “vedere” con il cuore. La volpe del deserto lo spiega molto bene al Piccolo Principe: «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi» (XXI). C’è bisogno del cuore per afferrare l’essenziale. E il cuore ha i suoi tempi, le sue regole, il suo linguaggio. Innanzitutto bisogna liberarsi dal culto dei numeri e delle cifre. Chi pensa di tradurre ogni cosa in quantità precise difficilmente sarà attratto da elementi che sfuggono a ogni forma di misura. Questo è uno dei limiti più pericolosi che il Piccolo Principe attribuisce ai “grandi” (li chiama proprio così, per distinguerli dai piccoli ancora innocenti e capaci di fantasticare). Già nelle prime pagine, infatti, discorrendo del nome (B612) attribuito all’asteroide abitato dal Piccolo Principe, Saint-Exupéry coglie l’occasione per sottolineare l’amore smisurato dei “grandi” per le cifre: «Se vi ho raccontato tanti particolari sull’asteroide B612 e se vi ho rivelato il suo numero, è proprio per i grandi che amano le cifre» (IV). Un amore che, inevitabilmente, condiziona il punto di vista, attirando l’attenzione solo su quegli elementi in sintonia con una visione calcolatoria della vita e delle relazioni umane. Si tratta di persone che, di fronte a un discorso dedicato a un tuo “nuovo amico”, non “si interessano alle cose essenziali”: «Non si domandano mai: ‘Qual è il tono della sua voce? Quali sono i suoi giochi preferiti? Fa collezione di farfalle?’ Ma vi domandano: ‘Che età ha? Quanti fratelli? Quanto pesa? Quanto guadagna suo padre?’ Allora soltanto credono di conoscerlo» (IV). E l’atteggiamento non cambia, per fare un altro esempio, se si parla di una casa: «Se voi dite ai grandi: ‘Ho visto una bella casa in mattoni rosa, con dei gerani alla finestra, e dei colombi sul tetto’, loro non arrivano a immaginarsela. Bisogna dire: ‘Ho visto una casa da centomila lire’, e allora esclamano: ‘Com’è bella’» (IV). Imparare a vedere con il cuore, significa avere anche la forza di considerare come nefasta la rapace ideologia del profitto a tutti costi e del tradurre ogni cosa (anche le nostre relazioni umane e le persone stesse) in numeri e cifre.
Bibliografia di riferimento
Ordine N., sito web: Nuccio Ordine | Treccani, il portale del sapere
Ordine N., (2003). La soglia dell’ombra. Venezia: Marsilio
Ordine N., (2007). Contro il Vangelo armato. Milano: Raffaello Cortina Editore
Ordine N., (2015). Tre corone per un re. L'impresa di Enrico III e i suoi misteri. Milano: Bompiani
Ordine N., (2016). Classici per la vita: Una piccola biblioteca ideale. Milano: La nave di Teseo
Ordine N., (2017). La cabala dell'asino. Asinità e conoscenza in Giordano Bruno. Milano: La nave di Teseo
Ordine N., (2018). Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere. Milano: La nave di Teseo
Ordine N., (2020). L’utilità dell’inutile. Milano: Bompiani
*Dr.ssa Alessandra Bracci - Manager presso una multinazionale automotive e vincitrice di premi nazionali ed internazionali nel marketing. Responsabile area editoriale ANEB. Capo Redattore della rivista MATERIA PRIMA - Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica. Autrice di pubblicazioni in ambito scientifico.