Intervista alla Dr.ssa Yarona Pinhas
a cura di Dr.ssa Alessandra Bracci*
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Nel tempo attuale, così come in tutte le epoche storiche che si sono susseguite, l’umanità può scorgere gli “elementi” per procedere lungo il cammino di una profonda trasformazione potendo scegliere di avvalersene con coraggio, di attendere prudentemente oppure di rinunciarvi del tutto o in parte per paura o rassegnazione. Purtuttavia, oltre la ruggine egoica di una resistenza del tutto “umana”, oltre la rigidità di convinzioni o modelli stereotipati assunti per eredità inconsapevole dalla nascita, esiste la possibilità di un costante rinnovamento di sé, teso alla ricerca della propria individuazione per potersi ricongiungere al Tutto a cui si appartiene vibrando in modo più o meno sincrono col ritmo della Creazione. Un lungo e difficile percorso trasformativo destinato al superamento delle proiezioni egoiche, dei bisogni entro i quali imprigioniamo la nostra vita nella direzione di una continua amplificazione capace di spezzare le catene della razionalità per aprirsi al sogno di riconquista della nostra condizione edenica, dell’uomo rotondo, come diceva Platone, e cioè dell’uomo archetipico, quale fu Adamo prima della caduta. Ma per ritrovare questa entità assoluta, che giace occulta dentro di noi, è necessario compiere un cammino a ritroso che, procedendo dalla materia, dagli istinti ad essa connaturati, via via integrandola e non rifiutandola, ci permetta una metamorfosi della coscienza.
In questo processo di trasformazione dell’essere umano incontriamo Yarona Pinhas, scrittrice e studiosa di mistica ebraica nata ad Asmara in Eritrea da una famiglia originaria di Aden. Si laurea in Linguistica e Storia dell'Arte presso l'Università Ebraica di Gerusalemme. Contemporaneamente ha lavorato nel Centro di Documentazione di Arte Ebraica studiando oggetti di culto ebraici antichi e moderni, manoscritti, sinagoghe e collezioni private in Israele e nel mondo. Nei primi anni '90 si stabilisce in Italia per approfondire gli studi di arte sacra ebraica e nel contempo insegna ebraico all'Orientale di Napoli. In questi anni prende forma il filo conduttore della sua ricerca e dei suoi studi: la riscoperta del significato e del valore del femminile nei testi della Tradizione Ebraica. Attualmente vive a Londra e prosegue l’attività editoriale, l’esegesi e l’insegnamento attraverso iniziative di dialogo interreligioso ed interdisciplinare.
Nel web sta circolando una bellissima frase: "Tutto ciò che ho vissuto nella mia vita mi ha preparato per questo momento", come questa affermazione è vera per lei? Qual è la domanda su cui si fonda il suo lavoro? Cosa c’è al cuore della sua ricerca?
Per me è una cosa molto sentita poiché lo studio della Cabbalà, la parte femminile della Torà, mi ha permesso di aprirmi alla comprensione, non solo di me stessa, ma anche di ciò che si nasconde dietro alla Creazione, di capire perché il mondo è stato creato in questo modo, di comprendere qual è il nostro compito sulla Terra e di capire che esistono delle leggi nell’universo che è necessario rispettare. Il mondo si basa su leggi spirituali ben precise e ordinate, esiste una struttura nell’Universo, ove ogni infrazione ha delle conseguenze non solo a livello individuale ma anche a livello collettivo, ove ogni violazione crea uno strappo nella rete dell’unità della Creazione. Aderendo a queste leggi, alla simbologia dell’Albero della Vita, ci rendiamo conto di un bilanciamento molto delicato, secondo cui l’universo ha un ritmo che, se non rispettato, ci conduce verso una realtà che ci sfugge dalle mani. Questo ritmo ha la cadenza del respiro che si alterna tra espansione e contrazione, un movimento che avviene in tutte le cose anche nei rapporti interpersonali: l'espansione dell'uno è/e la contrazione dell'altro e poi l'alternanza, se questo non avviene, si rimane in uno stato sofferto e sbilanciato. Laddove c’è troppa espansione e si forma la saturazione, il sistema “muore” su se stesso. Laddove è stato tradito il locale per il globale senza incorporarlo, si è persa la visione del benessere comune, dove un sistema non viene a discapito dell’altro, dove una ricchezza acquisita non produce povertà. Abbiamo vissuto il “pieno” nelle case, negli armadi, nelle strade e in ogni luogo a tal punto che la quantità ha sacrificato la qualità di servizio. Qualche anno fa ho partecipato alla “Notte della Cabbalà” a Roma dove si è parlato di “Spazio”. La Cabbalà spiega che prima della Creazione, l’Or En Sof, la Luce Illimitata, pervadeva il Tutto, questa luce era amore. Quando emerse nel Creatore la volontà di elargire del bene e far largo alla Creazione, Egli contrasse la Luce per far spazio all’Universo. Questo è il principio di ogni relazione: la mia espansione è la tua contrazione e viceversa. Ma cosa succede quando il sentire è che “qui su questa Terra non c’è più posto per me?”. Non c’è più posto in casa, non c’è più posto per la macchina, non c’è posto nel treno, non c’è posto al ristorante, non c’è posto al teatro, non c’è posto dall’estetista, non c’è posto all’ospedale, non c’è posto al cimitero,… non c’è più posto! Allora il Creatore, che ci parla tramite la Creazione e gli eventi che ci accadono, ci ricorda di creare uno spazio interiore e di coltivarlo, di vivere un rapporto intimo con la nostra anima e venire a conoscerla ed espanderla.
Abbiamo investito nel mondo esteriore della materia che crea sempre più materiale di scarto che ormai non riusciamo più nemmeno a riciclare, abbiamo fatto tutto per la nostra apparenza, per avere sempre di più… e se pensiamo che la materia è composta per oltre il 99% di vuoto, praticamente abbiamo investito nel vuoto. Allora ci hanno rinchiusi a casa per riscoprire i valori interiori. In ebraico, chitzonì, “esteriore” viene dalla parola chetzì “metà” poiché la completezza si ottiene solo quando si riporta tutto al cuore.
Quando un sistema si espande arriverà poi la restrizione, è legge! Quando nel mondo occidentale c’è stata l’espansione degli anni ‘80/90, questo benessere materiale ha portato un vuoto interiore, ed è così che abbiamo fatto import/export di discipline orientali perché, per quanto eravamo nel benessere, non è stato un benessere condiviso, questo è l’errore. Non c’è nulla di male nel benessere, ma quando c’è la volontà di ricevere solo per se stessi questo è egocentrismo, il “pieno che è vuoto”. La soluzione è nel ricevere per condividere (legge della decima nella Torà) creando così una giustizia sociale.
L’umanità deve agire per il bene del super-organismo: un albero in più tagliato in Amazzonia ha effetti drammatici sul cambiamento climatico globale. Siamo un organismo vivente e non posso non interessarmi a quel che succede “lì” solo perché sembra lontano, “lì” c’è qualcuno che ha fame, “lì” ci sono bambini che lavorano nelle fabbriche per farmi il vestito che costa di meno, etc. non posso non interessarmene perché siamo tutti legati in un ecosistema materiale, climatico e spirituale. Se non impariamo adesso, ed è questo il lato buono di quanto sta accadendo, a cambiare le nostre modalità di vivere, dando rispetto al minerale, vegetale, animale e all’altro essere umano, questa situazione esploderà e questo virus avrà altre mutazioni… mai sia!
Perciò il mio percorso è un lavoro spirituale, poiché innanzitutto mi serve per migliorare come persona, perché non posso creare un cambiamento negli altri, e qualora pretendessi questo cambiamento significherebbe imporre sugli altri qualcosa con una modalità sbagliata. Quindi la Cabbalà dice “sii esempio nelle cose che dici, vivile”. È un lavoro spirituale legato alle esperienze della vita ove man mano puoi osservare come cambia la tua modalità di operare e come cambiano le tue esperienze nella vita. È come se la vita fosse il nostro laboratorio scientifico dove sperimento ciò che studio. Se sono troppo espansivo, troppo nell’amore allora non ti faccio respirare; troppa acqua in un vaso di fiori e il fiore muore, quindi capisco che anche quando do del bene e non do all’altro la capacità di contraccambiare, faccio quello che nella Cabbalà si chiama “pane di oltraggio” o come un detto recita “la strada dell'inferno è lastricata di buone intenzioni”, ossia se non rispetto il ritmo dell’altro, come genitori che coprono con “dare”, “dare”, “dare” e poi vedono che questi giovani non contraccambiano, anzi diventano insofferenti, questo ti insegna che ogni cosa, anche buona, ha un limite. Prima abbiamo parlato di espansione, possiamo ricordare come nella storia dell’umanità agli imperi bastava la conquista di un solo paese in più per far crollare l’intero sistema; così come allo stesso modo può crollare l’impero economico di un’azienda, il cancro stesso è una cellula che si suddivide senza limite. Perciò noi cosa abbiamo fatto come umanità? Abbiamo tolto il limite e anche il “no” nell’educazione, poiché abbiamo visto nel “limite” una cosa che ci limita, perché io voglio sentirmi libero di fare, di sentire… quello che mi pare! Se ci sono tre colori nel semaforo, siamo andati solo con il verde e non abbiamo capito che il rosso non solo tutela me, ma dà anche la possibilità all’altro di passare in sicurezza. Tutte le regole, le impostazioni, le leggi sono state scartate come raccomandazioni, e non parlo solo delle leggi di Stato, ma anche le leggi della fisica, le leggi dei Dieci Comandamenti, le leggi di uno spazio fra me e te che deve essere rispettato. Tutti noi abbiamo dei limiti, “mi hai chiesto delle cose, ma fin qua. Lavoro per sei giorni, ma fin qua… il settimo giorno mi riposo, è dedicato all’ascolto, alla famiglia, alla contemplazione…” e noi abbiamo iniziato a preoccuparci quando l’essere umano è stato risucchiato nel lavoro 24 ore su 24, 7 giorni su 7 per produrre. Ma anche la terra non produce incessantemente perché ha i suoi tempi di riposo oltre a quelli della semina, della crescita e del frutto. Noi non accettiamo questi tempi di attesa, vogliamo subito il frutto, ma nulla funziona così. I genitori che non vogliono imporre un’educazione ai figli, che non assecondano i maestri nella educazione perché tutto è permesso, questo è come una cellula di un corpo malato, perché non si sa dove fermarsi. I miei studi mi hanno portata ad osservare e capire che noi siamo buoni non solo quando diamo, ma anche quando non diamo, quando diciamo “no”. Quando diciamo “non toccare lì perché ti bruci” abbiamo salvato una persona e abbiamo dato delle regole per come vivere la vita. Se invece assecondiamo sempre e solo questo andare sproporzionato, per la Cabbalà, è il male, inteso come il risultato di un bene che non è limitato. Perciò la Torà stabilisce la regola che la terra nel settimo anno deve riposare, l’albero di frutto deve aspettare tre o quattro anni per quel frutto, l’essere umano deve riposare, è impostato dalla Legge Divina “il settimo giorno riposa”! Solo oggi possiamo capire quanto è fantastico questo modo che ti impone di riposare, ma non solo tu, anche il tuo servo e il tuo animale debbono riposare. Invece quando tu esasperi tutto questo ormai ci siamo consumati nel consumismo. Allora Dio richiude l’uomo in casa e gli dice “dato che tu hai creato tutto questo, il mondo è chiuso per riparazioni in corso” l’ecosistema si deve ristabilire, però ricordati che in casa hai tanto lavoro da fare. Se stai in casa dalla mattina alla sera sui social e lì continui a parlare in un certo modo, non hai capito, perché il tuo essere in casa significa poterti riconnettere con te stesso, la tua famiglia, i tuoi cari e ritrovare i valori che hai scordato in questa corsa frenetica.
Considerando il Corona virus quale evento contemporaneamente individuale e collettivo, quale possibile sintesi diagnostica e di intervento è possibile esprimere tenendo conto delle due modalità comunicative, segnica (cioè legata alle modalità in cui tale virus circola nell’organismo) e simbolica (cioè espressione dell’inconscio individuale e collettivo)?
È proprio così, la gente non ce la faceva più. La gente era già fuori di testa, anche nella comunicazione quotidiana, non c’è più il ”buongiorno”, non c’è il “grazie”, entri in un negozio e non ti guardano più, non ti servono più, ti buttano il piatto perché c’è il troppo, troppo, troppo… e hanno aperto, aperto, aperto… e adesso occorre chiudere, chiudere, chiudere,… perché è proprio come tu stai dicendo, il collettivo deve passare dal pensiero egocentrico del mio bene al benessere del collettivo. Questo è il passaggio che l’umanità deve fare, cioè pensare come il Creatore, non come ego - il mio bene - ma nel nuovo pensiero ci deve essere il collettivo. Infatti il bene che vediamo in questo periodo è dato dall’esempio delle persone che ci curano. Vedere dottori, infermieri, volontari, vigili… che hanno sacrificato le loro vite e, nel mentre, questo virus attacca il respiro perché non c’è più respiro, la gente cosa diceva? “Non respiro più”, “non ho tempo per respirare” e ricordiamoci che per la Cabbalà la parola crea! La parola è uno stato mentale, perché Dio ha creato l’universo con la parola: «Dio disse: “Sia la luce!” e la luce fu». La parola è vibrazione, è qualcosa che ti arriva oltre la parola, con la parola creiamo un’immagine e creiamo la nostra realtà. Nella Cabbalà è una cosa sacrosanta misurare le parole, infatti andiamo in terapia per curare i danni delle parole che abbiamo ascoltato e i danni delle parole che abbiamo detto a noi stessi “non valgo niente perché mia mamma ha detto, perché all’asilo mi hanno detto…”, oltre alla violenza sul corpo. Il terapeuta curando con la parola, cosa crea nel paziente? Un’immagine con cui il paziente può uscire nel mondo curato. La “parola” in ebraico si dice davar, come il termine “cosa”, cioè il segreto dell’energia che diventa materia. Come Dio ha creato? Dio ha creato con la “parola” nominando ciò che stava per essere creato.
L’universo fu pensato come dimora dell’uomo: prima venne creato ciò che era necessario alla sua sussistenza e solo nell’ultimo giorno, come sigillo dell’intero processo, fu creato l’essere umano che era il fine ultimo della creazione intera. La realtà viene descritta con l’elaborazione di parole, ma spesso non si riesce a tradurre nella realtà l’intenzione originale. Perché? La paura di scegliere diventa un ostacolo e inevitabilmente scegliamo di non scegliere. Di conseguenza l’uso della parola non è più finalizzata a un obbiettivo reale ma si disperde svuotata di contenuti. Il passaggio dal pensiero informe alla chiarezza della parola è il processo della creazione: «La terra era sterminata e vuota, le tenebre erano sulla faccia dell’abisso e lo spirito di Dio si librava sulla superficie delle acque. Dio disse: ‘Sia luce’».
Genesi si dice bereshìt, “in principio” parola che può essere letta barosh-bait, letteralmente “la casa in testa”. In senso lato questa espressione indica nella testa, sede del cervello, il luogo dove ha inizio il processo di elaborazione mentale destinato a concretizzarsi successivamente. La luce della Conoscenza è veicolata dalle parole. La combinazione delle consonanti con le vocali esprime la forza spirituale che agisce rendendo la parola sacra, cioè suoni e vibrazioni che creano immagini che si condensano nella materia.
Ugualmente la parola sacralizzata dalla preghiera o dalla benedizione sale fino a Dio, modificando la realtà da materiale a spirituale e rendendo Dio protagonista della vita dell’uomo.
Come l’energia si trasforma in materia, così la parola è forma tangibile di significati e pensieri. Come la materia si trasforma in energia, così il mondo influenza, modifica e suggerisce la parola. La conoscenza può rappresentare una minaccia alla stabilità - spesso illusoria - dell’immagine che abbiamo di noi stessi, perché impone continui mutamenti di prospettiva.
La conoscenza è di fatto basata sulla comunicazione: non c’è oratore se non c’è uditorio, anche solo interiore. Dio fa dono all’uomo della Sua parola mettendosi in relazione con lui e così rendendolo diverso da tutte le creature: «Gli ispirò nelle narici il soffio vitale e l’uomo divenne essere vivente nefesh chaià», in quanto capace di elaborare pensiero e parola.
Se la parola è positiva è sacrosanta, un sancta sanctorum, è un dvir, è una cosa che accresce l’altro, che apporta bontà all’altro, che regala positività, ma la stessa parola davar puntualizzata in altro modo, dato che in ebraico non ci sono le vocali, dever diventa “epidemia”. Quando noi sparliamo di qualcuno, abbiamo gettato fango addosso ad una persona, che non potrà quasi mai togliersi questo fango, pettegolezzo, lamentela… nel mondo spirituale è il peggio che c’è, perché è come vendere una storia a prezzo maggiorato perché passa dall’uno all’altro, la maldicenza, la malalingua non si può più fermare. Immagina che venga fatto nei social, una piazza pubblica, dove siamo allo stesso livello del talebano che getta sassi, distruggendo una persona o un’azienda solo perché la pensano in modo diverso… e un’azienda con un tweet muore… non c’è la parola libera, siamo tornati ad una dittatura della parola. Perché in una piazza se vuoi esprimere un pensiero diverso, arrivano subito queste voci che sono una piaga, anche se la persona ha sbagliato, non ha la possibilità di rimediare, tiqùn, non ha la possibilità di chiedere perdono.
Un insieme di parole forma una frase, la parola “frase”, mishpat, significa anche “giudizio”: ogni nostra frase è una sentenza di vita o di morte, così anche in inglese la parola frase, “sentence” ha ambedue i significati.
Non capiamo che il linguaggio è giudicante, giudica e crea una impronta su quella persona, e togliersi quella impronta “non sono bravo”, “sono la pecora nera”, etc. sono anni e anni di lavoro e voi lo sapete. Fino a che tu non riesci ad avere una immagine tua positiva, non ne esci fuori. Per questo il secondo Comandamento dice di non farti un’immagine o una statua del divino, ma non farlo nemmeno dell’altra persona, dai la possibilità all’altro di essere flessibile, come ci insegna la fisica quantistica ossia io creo lì dove metto il mio occhio e quando parlo ed evidenzio il bene, ed evidenzio “quanto sei bravo in questo” rinforziamo ciò su cui sei bravo, cosicché le altre parti diminuiscono, ma se io invece allargo quell’altra parola e lo faccio a livello di tv, social, opinionisti… - che poi chissà cosa stanno dicendo di vero non si sa - tu ingrandisci questa paura ed aumenti la epidemia della parola. In ebraico è la stessa parola davar e dever perché passa come una epidemia, quindi l’esercizio dei cabalisti e di tutti noi è di misurare ogni giorno le parole, di non peccare con la bocca, perché è il peccato più grande che si possa fare, perché Dio non lo cancella e sono io che devo venire da te e mi devo scusare e devo trovare un modo per cancellare questa impronta che è stata messa sull’anima, è un’impronta energetica, un’impronta che quando l’anima se ne va si porta con sé.
Ora, se penso che questo virus è chiamato “corona”, per me è un simbolo, perché la “corona” nella Cabbalà è il livello più alto a cui una persona può accedere, si chiama la sefirà di Keter (la prima emanazione divina dalla Luce Infinita è chiamata corona) che gestisce tre cose: fede, forza di volontà e piacere. La “fede” è Emunah dalla parola “amen” e viene dalla parola “esercizio” e significa capire che ci sono delle possibilità oltre a ciò che la tua mente può percepire ed accogliere. La nostra mente è molto limitata, limitata dai propri schemi mentali, dalle proprie conoscenze e se rimango su questo schema e non amplio la mia coscienza, solitamente tramite lo studio, rimango sempre nelle stesse dinamiche. L’Emunah quindi è la capacità dell’uomo di accogliere una nuova conoscenza, che adesso non puoi ancora capire con la tua mente perché è una cosa nuova, non è possibile dare un nome ad una cosa che ancora non si conosce, allora andiamo verso qualcosa che non conosciamo per ampliare questo recipiente di conoscenza, ma non è una fede passiva poiché Dio vuole che siamo suoi collaboratori e questo si attiva con la forza di volontà. Quando mi lamento, e mi dispiace dirlo ma l’Italia è brava in questo – si è lamentata anche vent’anni fa quando c’era il pieno, con un approccio in cui i cittadini si lamentano, non si assumono le proprie responsabilità e non agiscono aspettandosi che sia qualcun altro a provvedere. Questa è la mentalità che nella Cabbalà chiamiamo del “comodo”, questa parola viene da Noè, il cui nome in ebraico è Noach che significa “comodo” ed è per questo motivo che Noè non è nostro padre, perché è la comodità di colui che sta nella sua “arca”, con le sue cose, che non gli importa che il mondo è andato in tilt, perché tanto lui è salvo, la sua famiglia è salva, le sue cose sono salve… come mondo occidentale abbiamo cercato la comodità, quindi abbiamo fatto import-export di persone e di conoscenze dei vari pensieri orientali ma circoscrivendoli nel nostro comodo. Invece, noi siamo figli di Abramo perché lui è andato via dalla sua terra, dalla sua città, dalla casa di suo padre, dalle sue comodità rompendo gli idoli e scoprendo l’esistenza di Dio, del super-organismo e il monoteismo.
Laddove Noè rimane passivo, Abramo invece è in movimento continuo, addirittura discute con Dio nel caso di Sodoma e Gomorra cercando si salvare gli abitanti pur essendo corrotti.
La vita è movimento continuo alla ricerca di coerenza tra pensiero, sentimento ed azione: applicando l’esercizio della fede e la forza di volontà si arriva alla terza caratteristica dell’emanazione divina di Keter (corona) che è il piacere. La ragione prima di ogni attività umana è la ricerca del piacere. Il problema che spesso lo ricerchiamo nell’appagamento degli istinti naturali (cibo, sesso, denaro, etc.) ma appena consumati, si è consumato anche il senso del piacere e si va subito alla ricerca di un altro e così via. Da qui, ne deriva che l’unico piacere duraturo è quello spirituale, ad esempio contribuire al benessere del prossimo, dedicarsi alla preghiera e alla meditazione, allo studio che amplia la coscienza e all’accettazione di chi è “altro” da noi.
Noi sappiamo quanto è importante l’uso della parola e sappiamo che la parola giusta al momento giusto può curare una persona, può illuminarla. Infatti la parola “medico” in ebraico rofè viene da refa che è “rilassamento”, ma anche “bocca di luce”. Il compito del medico è prima di tutto creare un’immagine di speranza nel malato, perché è quello che una persona vuole sentire. Puoi dare la migliore cura che esiste, ma se la persona ha bisogno di una parola, di un sostengo, noi sappiamo che non è solo la cura che guarisce. Come applichi i poteri curativi? Con la parola, è semplice! La parola che costruisce un’immagine diversa e che ti suggerisce altre possibili opzioni. La cura ultimativa è la fede.
L’esperienza del covid ci costringe a considerare altre possibilità di vita: curare meglio le nostre risorse nei propri paesi poiché purtroppo questa epidemia ci ha riportato nei nostri confini e ci ha insegnato che tutti noi apparteniamo ad un luogo specifico nella terra.
Inoltre è molto importante anche la parola “rispetto”, rispettare l’altro, rispettare la diversità. Cosa ha contribuito a creare tutto questo problema? Il fatto che noi abbiamo confuso “unità” con “uniformità”. Lo scopo dell’umanità è quello di arrivare all’unione e non all’uniformità di pensiero, sentimento e azione così com’è successo nella nostra società riportandola ai tempi della confusione, la Torre di Babele. «In tutta la terra si parlava una lingua unica e si usavano le stesse espressioni» (Genesi 11:1). A prima vista sembra un’aspirazione nobile ma Dio stesso interviene e disperde l’umanità nei vari paesi e differenzia le lingue. Perché? Per far sì che esista sempre la possibilità di opposizione a qualunque aggregazione tesa alla dittatura del male, una sorta di sistema immunitario dell’umanità. Il progetto divino vede nella molteplicità e nella diversità uno stato privilegiato rispetto all’uniformità livellatrice. Dalla migrazione di Babele al rientro dei cittadini nei propri confini del proprio paese e nella propria casa a causa del covid. Cade l’illusione dell’essere cittadini di un mondo privo di confini e della gioia della condivisione di cui si è stati spesso accusati di appropriazione e offesa culturale.
Nella modalità dell’uniformità di pensiero è permesso emettere un verdetto non controllabile senza sentenza, trovare colpevoli e lanciare sassate di parole tra le pareti di casa o nella piazza virtuale, distruggere la vita di una persona o la sua attività con un tweet, con un shaming in pubblico. Parole imperiture, non cancellabili, non c’è la possibilità di fare tiqùn, riparazione o teshuvà, ritorno, non c’è perdono. Si rimane condannati a vita. Nell’ebraismo non esiste una cosa più grave di questa, equivale all’aver ucciso una persona nell’essenza, che è l’anima di origine divina, è sangue nella bocca. Il perdono divino viene negato anche a coloro che hanno avuto l'opportunità di parlare a favore degli altri ma non hanno agito o difeso. Questo periodo ti insegna: vieni a conoscere i tuoi confini e rispetta i confini dell’altro. “Amerai il prossimo tuo come te stesso”… non solo se è uniforme a me, ma amo l’altro in quanto mi arricchisce nella sua diversità.
Unità è unità, uniformità è un’altra cosa. Questo è un messaggio molto importante, poiché io per amarti non devo pensarla come te. Che mondo è quello in cui io vedo me stessa come in uno specchio? Penso a Mao Tse-tung dove sono tutti uguali e non riesci a distinguerne nemmeno i visi. Questa uniformità uccide la libertà di pensiero che abbiamo ottenuto pagando un prezzo molto alto nella storia dell’umanità. Grazie ai social-media oggi è terribilmente facile esprimere ogni cosa e distruggere le vite delle persone in un attimo. Non c’è perdono e redenzione.
Quando emettiamo queste sentenze di vita ci arroghiamo il ruolo di Dio, il ruolo del giudice, allora Dio dice ”fermatevi, perché io qui vi ribalto tutto il sistema” in un attimo! Tutti coloro che hanno “investito” in questa direzione, Dio viene a mostrare cos’è la Natura, a ricordare come tornare ad essere umile e a riscoprire la propria responsabilità. «Quando il Santo Benedetto Egli sia, creò Adamo lo prese e lo condusse davanti a tutti gli alberi del giardino dell'Eden e gli disse: “Guarda quanto le Mie opere sono piacevoli e preziose, e tutto ciò che ho creato, l'ho fatto per te; fai quindi attenzione a non danneggiare e a non distruggere il Mio mondo”» poiché non ci sarà chi potrà porre rimedio. In altri termini, abbiamo ricevuto la Terra in gestione, in quanto esseri pensanti e intelligenti e il nostro compito era quello di curare il minerale, il vegetale, l’animale e il prossimo. Dobbiamo redimere la parola benessere che non significa solo stare bene materialmente, ma riscoprire e ricollegarci ai valori veri della vita che sono i nostri affetti.
Il Corona virus è una pandemia che va ben oltre una crisi sanitaria per quanto critica ed estesa a livello globale. È un pandemia che affonda le sue radici nel modo in cui l’attuale e dominante il “riduzionismo” tipico dei nostri sistemi economici, politici, educativi ignora i limiti della reale capacità biologica del nostro pianeta sfruttandone le risorse vitali, mentre utilizza insufficientemente le capacità umane. Cosa ne pensa?
L’uomo è stato fatto a “Sua immagine e somiglianza” e questo per la Cabbalà significa che adesso è arrivato il momento in cui dobbiamo pensare come il divino, cioè al benessere collettivo, non ricevere per sè ma per contribuire, per condividere; per capire che tutti i sistemi hanno bisogno di regole; per comprendere che siamo una rete e che se qualcuno la “strappa”, fosse anche in un luogo lontano da me, quello “strappo” arriverà comunque anche a me. Allora adesso devo capire come io e te diventiamo un noi, e io posso agganciarmi a te solo con il positivo, con l’empatia, con la volontà di aiutare, con la volontà di contribuire, perché il male emerge quando ci sentiamo separati, il Diavolo è colui che separa. Dobbiamo comprendere che il “no” non è separazione, o “cacciata dall’Eden”, ma spesso una tutela. Mentre nella visione occidentale il “no” è diventato come una piaga, ad esempio genitori che non possono dire “no” perché si sentono cattivi… e allora cosa si fa? Si dicono menzogne, si evita un discorso sincero, non si è di parola e questi sono danni! Questo significa che la persona vive “divisa” tra il proprio sentire, e tra ciò che dice e fa. Questa mancanza di coerenza è malattia, come la cellula cancerogena. Ed è così in tutti i sistemi e allora lo stop, la tutela, il semaforo rosso è qualcosa che dobbiamo imparare.
La coerenza significa agire in modo equilibrato con tutte le nostre intelligenze: istintiva, emotiva, mentale e spirituale. Adesso è come se il Creatore bussasse dicendo “hai scordato che sei un’anima che è venuta a sperimentare la vita sul pianeta Terra ed a ampliare la propria coscienza. Perché tutto è coscienza”. Lì fuori la materia non esiste, lo dicono i fisici. Poi la fisica quantistica dice anche che dove punti l’occhio è lì che crei, lo dice anche la Cabbalà. Allora su cosa stiamo puntando? Questa esperienza prepara l’umanità al suo prossimo passo evolutivo: pensare, parlare ed agire da esseri divini.
Albert Einstein raccontava che le nozioni di base che lo condussero alla formulazione della teoria della relatività erano emerse quando lui aveva immaginato di “viaggiare su un raggio di luce”. Qual è il ruolo dell’immaginazione nella creazione di nuovi scenari futuri?
Grazie! Questo è molto importante, perché la creazione è il nostro limite, ma anche la nostra risorsa. Nell’immaginazione c’è quella parte che interpreta in malo modo quello che vede, è la parte che si fa dei film dell’orrore e del terrore, è la parte che indovina la realtà “tu non mi hai chiamato perché sei arrabbiata con me” e questo è chiamato il serpente dell’Eden, perché “serpente” in ebraico significa “indovino”, ossia io non so le cose ma le “indovino”, ed è così che ci si crea dei “film” per poi andare dal terapeuta e sentirsi dire “sei sicura che sia andata così? Guardiamo un po’ la realtà”. Ci siamo persi perché non guardiamo più la realtà che tante volte è più semplice “non mi ha visto perché non portava gli occhiali e allora non mi ha salutato” se adesso lo chiariamo, non mi porto vent’anni di rancore… il 90% della nostra sofferenza è immaginaria, perché abbiamo interpretato male la realtà. Allora devo aiutare le persone a interpretare bene la realtà. Questo avviene nell’emisfero sinistro del cervello, dove c’è la parola.
Dall’altro lato, nell’emisfero destro del cervello, luogo della sapienza, entro in un bagaglio conoscitivo immenso e lì con l’immaginazione mi creo un’altra realtà, ma devo essere cosciente quando lo faccio. Ad esempio, c’è una parte del mio corpo che mi fa male, entro in quella parte e ci parlo “cosa ti manca? Perché sei andata in tilt? Cosa mi vuoi dire fegato? Cosa mi vuoi dire il rene?”, entro con l’immaginazione e mi creo una immagine in cui sono sana, e poiché il nostro cervello non conosce la differenza fra le cose che ho fatto e le cose che ho immaginato, con l’immaginazione possiamo creare un mondo migliore, ma lo dobbiamo volere in modo collettivo. È una risorsa che non ha limiti, è una risorsa che ci collega all’infinito. Io adesso parlo con te, sono qui a Londra ma potrei essere, come hai detto tu, su questo raggio di luce infinito che va ad illuminare ovunque. Perciò è qui il luogo dove mi collego e creo la coscienza, ma non è nel cervello perché va oltre, e mi collego a tutte le possibilità e scelgo! Noi solitamente facciamo questo esercizio “io faccio il mio 50% e lascio al Creatore il suo 50%” cioè io opero, vado, faccio, assecondo le leggi, mi apro, compio tutto quello che è necessario per guarire e poi mi affido al Creatore che, tramite il corpo, mi sta insegnando una lezione che non ho capito. Tra l’altro quando una cosa arriva al corpo è perché non abbiamo colto i segnali, cioè Dio ci parla con segnali otot, se colgo il segnale, questo diventa subito luce orot di comprensione, ma se il segnale arriva e faccio finta di non averlo visto “mi fa male il dente” ma non voglio andare dal dentista, il “dolore” continuerà fino a che dovrò togliere il dente perché il male è arrivato alla radice. Quando arriva al corpo, non posso più far finta di niente, allora entro nella simbologia e cerco di capire cosa devo guarire dentro me stessa. Fra l’altro sappiamo che “corpo” e “denaro” sono collegati nella Cabbalà, per questo quando tocca il “denaro” diciamo “meglio che sia andato al denaro e non al corpo”, meglio espiare la perdita di denaro piuttosto che una malattia.
Al di là delle “divisioni” religiose e dei differenti “credo”, quale è l’importanza della dimensione spirituale e come renderla concreta nel nostro quotidiano?
Assolutamente, è l’unica cosa che ci collega. Nello Spirito non c’è divisione, se prendo le anime di tutta l’umanità a partire da Adamo ed Eva, tutto è una Luce. Poi ognuno di noi ha avuto il suo cammino tramite la religione dei posti e luoghi in cui abita, ma se rimango nello schema della religione, del luogo di appartenenza, del colore della pelle, della famiglia di origine, etc. questi sono schemi che chiudono la possibilità di evolvere.
Perciò la Cabbalà ricorda che noi facciamo parte di tutta l’umanità, per cui non posso dire “in quanto ebrea mi occupo solo della mia gente”, al contrario quando prego per la guarigione di qualcuno, prego per la guarigione di tutti i malati; se prego perché sto cercando marito, prego per tutte le persone che stanno cercando, se prego perché sto cercando lavoro, prego anche per coloro che sono in difficoltà economica… lo devo mettere nella mia preghiera! Per questo Dio dice non creare un’immagine di Me, perché non stai pregando un’entità, ma ti stai collegando con la coscienza universale, quando chiedo per me, chiedo anche per tutti coloro che ne hanno bisogno e così facendo inserisco un'altra informazione nel sistema. Questo è molto importante, dobbiamo espandere il cuore, dobbiamo “uscire” dalla nostra storia e fare quel passaggio laddove c’è solo il ritmo del mio cuore che si congiunge al tuo e al ritmo dell’universo che è continua espansione e contrazione, sì e no, permesso e legge, puro e impuro, e così via.
“Essere il cambiamento” da un lato è un concetto appassionante perché ricco di potenziale, ma dall’altro tocca paure profonde. Se la trasformazione della totalità richiede un cambiamento interiore su una scala che molti non hanno mai sperimentato, siamo davvero pronti per questo cambiamento? Quali sono le capacità e le conoscenze che, a livello individuale e collettivo, è necessario sviluppare o potenziare per contribuire ad una comprensione più autentica della vita e per scoprire chi siamo veramente e che cosa vogliamo diventare come società?
Per la Cabbalà l’uomo è un piccolo universo e l’universo è un grande uomo, per questo si dice “colui che salva una vita salva un universo”. Tutta la Creazione è dentro di me, per cui dipende a cosa mi “aggrappo”. Mi identifico con la parte divina o animale? Se mi identifico con la parte divina, ad esempio dico “mi è successo un certo evento, cosa potrà significare che quella persona mi ha sbattuto il telefono? Forse io ho sbattuto qualcosa dentro di me? Quello non mi vuole ascoltare? Forse c’è dentro di me una voce che non ascolto? Cosa non ascolto? Dove sono violenta con me stessa? Dove mi abbatto? Dove mi condanno? Dove mi giudico in continuazione?”. Se faccio questo lavoro perché non voglio rimanere in quella sofferenza e riesco a capire che sono un essere divino e comprendo la “lezione”, in questo modo vado verso le “luci” che questa cosa ha regalato non solo a me, ma anche a tutti gli esseri umani. La Cabbalà parla a ciascuno di noi, anche un piccolo passo che ciascuno di noi decide di compiere è fondamentale, ad esempio prendo la padronanza sulla lingua, cerco di non ascoltare pettegolezzi, appena inizio a lamentarmi mi blocco, appena inizio una critica conto fino a 10, … se capisco che l’universo mi parla e devo cercare dentro di me il vegetale, minerale, animale, capisco che riparando me stesso, riparo il mondo intero. Questa pratica di entrare dentro sè stessi significa comprendere che questo segnale è per me e che lo posso trasformare in Luce, perché se non lo trasformo in Luce di comprensione diventa un impedimento, una botta di vita, perché se non impari con la “carota”, impari con il “bastone”. Ci viene chiesto di crescere come umanità, non possiamo rimanere al livello “animale” pensando solo a mangiare, bere… perché l’umanità è divina, ha una coscienza divina in quanto siamo stati fatti a “Sua immagine e somiglianza” e il messaggio è di uscire dall’apparenza, prendere padronanza e vedere che siamo anche Anima.
Il cambiamento in grado di fare la differenza avviene nella profondità del nostro cuore. Quanto c’è di vero in questo e come questo processo è possibile?
Ah, se arriviamo al cuore, abbiamo fatto tutto!
Alla base dello studio della Cabbalà ci sono i 32 sentieri e codici che formano l’Albero della Vita. Il valore numerico della parola lev, cuore, è trentadue.
Il tiqùn, riparazione, dell’umanità è sviluppare l’intelligenza del cuore, binàt-halev, è l’empatia. Cambiare linguaggio ed essere generosi nell’evidenziare il buono, essere contenti della propria parte, sostenere ed aiutare, … e con questo girotondo, gira il mondo, gira la vita e ci solleviamo dalla terra e tutto è melodia. Tutte le prove della vita nel loro nucleo sono prove d’amore o mancanza d’amore. Tutte le lezioni di vita nel loro nucleo insegnano come amarsi e come amare l’altro nonostante tutto. L’umanità deve fare il passaggio dall’odio gratuito all’amore che da nulla dipende, dal kovid al kavod, “rispetto”. Kavod, da kaved “pesante”, perché le cose preziose si pesano, come l’oro, ogni grammo aumenta il loro valore, sono eredità e sono care come lo sono i nostri cari. Con “caro” e “cara”, “carissimo” e “carissima” mostriamo il nostro voler bene e mantenendo la nostra parola, mostriamo il nostro impegno. Non si può ottenere il pregio della qualità a buon mercato, distruggendo così il mercato. Zol, significa “economico” e rimanda a zilùt, “disdegno”. «Acque abbondanti non possono spegnere l’amore e neppure i fiumi lo possono estinguere. Ma se un uomo desse anche tutta la ricchezza della sua casa in cambio d’amore, non ne riceverebbe in cambio che disprezzo» (Cantico dei Cantici 8:7).
Dietro la realtà apparente dell’Universo esistono i codici che l’hanno creata. L’uomo non crea nulla di nuovo, infatti il verbo barà, creare, è usato solo per indicare la creazione divina. Il compito dell’uomo è di svelare, legalòt, una delle molteplici realtà esistenti, cioè la porta che scegliamo di aprire determina il nostro avvenire; la bussola è sempre il sentire del cuore. L’amore è la fonte della nostra vitalità, è la ragione per cui il Creatore ci ha donato la vita, l’amore è pienezza. Più ci sentiamo amati e amiamo, e più accresce in noi la forza vitale e la gioia. La Cabbalà spiega che amore è hishtokekut, il desiderio di entità separate di diventare uno, echad, che è il compimento dell’amore. Nella fase del corteggiamento ogni parte esprime la volontà di congiungersi con l’altra raggiungendo così la pienezza meleùt. Ora ciascuna parte è piena dell’altra e dipende dall’altra. E allora, tu mi manchi e io ti manco… tra il pieno e il vuoto. Così si continua quando iniziano le incomprensioni e le tensioni, quando le aspettative si frantumano e nel mazzo di rose notiamo solo le spine, quando «Io sono del mio amato e il mio amato è mio» (Cantico dei Cantici 2:16) diventa «Io sono la tua spina e tu sei la mia». Ecco qui un esempio di come il cambio di atteggiamento trasforma le vite.
Alla radice della sofferenza umana la sensazione di essere cacciati, esclusi e rifiutati dalla collettività. Adamo ed Eva furono cacciati garesh dal Paradiso. In ebraico moderno garesh indica anche “divorzio”, ma basta spostare le lettere e cambiare visuale per creare la parola ghesher, “ponte”. E cosa può fare da ponte tra gli esseri umani? Il reghesh, “sentimento positivo”. Ogni rifiuto, ogni “no” viene vissuto come una “cacciata dall’Eden” e solo l’amore, l’accoglienza e l’empatia possono fare da “ponte” tra le persone. Facendo questa opera si trasforma il piombo in oro. Non ci sono magie, benedizioni o angeli che possano fare il lavoro per te. Nella realtà di garesh in cui la coppia è schiena a schiena, non c’è comunicazione e si soffre il freddo del ghiaccio, basta che la parte più consapevole si giri verso l’altra e tocchi la sua spalla e il ghiaccio si scoglie in acqua. Fino a giungere faccia a faccia, panìm el panìm. Qui si respira l’aria della libertà, il vapore che sanifica ogni divisione e la trasforma in connessione, potrebbe diventare un bacio o un abbraccio o un saluto pacifico. Solo in questo modo non si perpetua alle prossime generazioni il tiqùn, la riparazione.
In ebraico la parola “viso”, panìm, è plurale, come dire volti, sfaccettature, i tanti aspetti della personalità che mascherano il sé. Pnìm, al singolare, significa “interiorità”: il nostro viso rispecchia il nostro stato interiore. L’uomo completo, shalem, crea un patto tra i panìm e il pnìm portando shalom, pace a sé stesso e tra le creature. La Cabbalà è la parte interiore e femminile della Torà, è l’Albero della Vita, è il giardino dell’Eden, «che produsse alberi da frutto contenenti ciascuno il seme della propria specie».
Per quanto l’essere umano tenda a vivere per sé, voler ricevere solo per sé, ci sarà sempre un evento naturale che ci farà ricordare che siamo un noi, una rete, legati uno all’altro per l’eternità nel cerchio del ricevere per dare. Siamo UNO.
«L’uomo vive nel mondo fisico, nella parte svelata della creazione legata ai cinque sensi, dipendente dal cervello razionale e lo sforzo che deve compiere per abbracciare il mondo velato dello spirito - origine del tutto - è enorme. La chiave di questa porta è la Conoscenza, da’at, e la potrà varcare solo colui che se ne rende degno impegnandosi nella ricerca del Nome. Oltre la porta il richiamo dell’Amore - il punto d’unione - di cui la nostra anima sente nostalgia e finché la vita scorre nelle vene è l’aspirazione suprema dell’umana creatura. Il cuore è ovunque, in ogni cosa, perché in ogni cosa c’è il punto d’unione che è amore quindi il cuore è la via, la guida e la destinazione perché laddove s’incontrano e si pacificano gli opposti si trova la globalità» (Pinhas Y. in “La Saggezza Velata”).
Infine, le chiedo di descrivere “GAIA AS IS & TO BE” utilizzando parole ed immagini atte a simboleggiarla. In altri termini quali immagini potrebbero descrivere il nostro Pianeta nel tempo attuale e nel tempo futuro che si auspica?
Adesso la vedo come una rete strappata e vorrei vederla come quei fiori che fanno i bambini al cui centro c’è un bene comune e poi i petali che sono tutti collegati a partire dal centro, come un’immagine di Luce che si espande e che ricorda quelle immagini dei pianeti. Ognuno è un individuo (petalo) ma non è staccato, è collegato alla collettività, pur mantenendo la nostra individualità, noi siamo venuti qui per esprimere la nostra individualità. Dio non vuole che io imiti qualcuno, che io sia immagine e somiglianza di qualche celebrity, oppure immagine e somiglianza dei genitori. Io devo trovare qui qual è la mia immagine.
E su cosa mi collego? Mi collego al divino e capisco che io vengo qui con i miei doni, ognuno ha il suo dono, la cosa che ama fare e la condivide per il bene del collettivo. Questo mi auspico che sia un messaggio di crescita per tutti noi, perché la Cabbalà dice “quando tu dai una botta a qualcosa escono tante scintille di luce, come il ferro rovente che battuto sull'incudine sprigiona scintille” che questa “botta” venga a sprigionare - per tutti coloro che hanno scelto certi schemi mentali, comodità e così via - quell’energia vitale che è dentro di noi, un’energia che si esprime al massimo livello quando amiamo, quando due entità separate si uniscono, lì è la massima espressione dell’energia vitale.
Dobbiamo tornare al “buongiorno” con il sorriso, dobbiamo ritrovare le piccole gioie per capire che nella separazione ci perdiamo, la separazione è malattia. Mentre unione è trovare il legame ove due entità separate si mettono insieme con desiderio, quando l’altra parte non c’è “mi manca” e tu “mi manchi” e quando questo petalo nel fiore non c’è “mi manca” e tu “mi manchi”… è un “gioco” che ci fa sentire pieni, ma ci fa sentire anche la mancanza e noi dobbiamo gestire bene queste forze fra il pieno e il vuoto, fra ciò che mi riempie e ciò che mi manca, perché se mi riempio troppo va in tilt il sistema e se mi manchi troppo allora mi divido “io abito qui e tu abiti lì” e non troviamo più il punto di incontro. Tutto è trovare la giusta misura, è una danza, un canto, è un non perdere di vista l’altro perché vedi solo te stesso. In tutte le storie noi vediamo solo noi stessi. Quando andiamo dal terapeuta “perché mi è capitato, mi ha visto, mi è accaduto…, io... io… io…” mi metto sempre al centro. Questo è un allenamento, devo allenare queste sinapsi, creando nuove vie in modo da non cadere sempre lì. Come posso evolvere? Mi capiterà una seconda, terza volta, etc. ma ogni volta andrà meglio perché la lezione continua fino a che non abbiamo imparato.
Allora questo periodo potrebbe sprigionare tutte queste forze per apprezzare di più la vita, per amare la vita perché ormai eravamo arrivati, già 20 anni fa, a notare come in quei posti dove la gente non ha nulla da mangiare e da vivere sono sempre sorridenti. Cosa manca a noi per essere sorridenti? Quando usciremo e potremo bere un caffè, che sorrisi, che apprezzamento… come se Dio ci avesse detto “io vi ho già dato di tutto e di più e non avete apprezzato niente e avete voluto sempre di più; non una donna, due donne, tre donne; non una casa, due case, tre case,… adesso vi tolgo tutto e vediamo se ritornate con un altro input su questa realtà che state vivendo”. Sicuramente ne usciremo con occhi nuovi, lo spero veramente. Per questo il vostro lavoro è sacrosanto perché collega queste parti di cui solitamente la gente non vede il nesso e dobbiamo andare in questa direzione e allargarla e comunicarla per dare una controvoce alle altre voci.
Cosa allora è richiesto dall’uomo?
Camminare sulla terra con integrità, osservare la vastità dei cieli ponendo di fronte agli occhi sempre l’Eterno. Ogni essere umano che incontriamo nelle nostre vite è una scintilla divina fatta a “Sua immagine e somiglianza” come me. Quando comprenderemo veramente cos’è l’umiltà, saremo capaci di amare noi stessi e di conseguenza potremmo amare l’altro. In fondo, siamo tutti ospiti della Vita.
Bibliografia di riferimento e link utili
Pinhas Y., sito web: http://www.yaronapinhas.com/
Pinhas Y., (2004). La Saggezza Velata - il femminile nella Torà. Firenze: La Giuntina
Pinhas Y., (2008). Onda Sigillata – Acqua, Vita e Parola. Firenze: La Giuntina
Pinhas Y., (2011). Pereq Shirà – il Capitolo del Canto. Livorno: Belforte Salomone
Pinhas Y., (2012). Scintille dell’Anima – un viaggio spirituale nella Cabbalà. Firenze: La Giuntina
Pinhas Y., (2017). Le lettere del Cielo – da Alef a Tav, dall’Infinito al finito. Firenze: La Giuntina
Pinhas Y. Ardillo L., (2020). Visioni, clicca qui
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Yod opera di Letizia Ardillo
*Dr.ssa Alessandra Bracci - Manager presso una multinazionale automotive e vincitrice di premi nazionali ed internazionali nel marketing. Capo Redattore della rivista MATERIA PRIMA - Rivista di Psicosomatica Ecobiopsicologica. Autrice di pubblicazioni in ambito scientifico.