La fiamma di una candela
Gaston Bachelard
a cura di Dr.ssa Naike Michelon
Quando il pensiero riposa, le immagini vegliano.
«Un piccolo libro di pura rêverie» in cui si può osservare e partecipare a come «si rinnovi la rêverie del sognatore nella contemplazione di una fiamma solitaria» (pag. 13). Così, Gaston Bachelard, filosofo della scienza e della poesia, consacrato nella seconda metà della sua vita allo studio dell’Immaginario, apre questa piccola ma significativa perla di rêverie poetica.
La fiamma della candela, che è solitamente compagna di studio del pensatore, viene messa al centro della contemplazione di Bachelard, divenendo l’oggetto d’indagine. L’intento non è quello di creare un’opera enciclopedica sulla piccola fiamma, bensì di raccontarla attraverso la sua storia, ritrovandola nel linguaggio che la descrive e che ne esprime le qualità dinamiche ed operative. La fiamma è uno dei massimi operatori di immagini, soggetto che esprime vita e che trasporta il sognatore in tempi passati e futuri, sintetizzandoli nel qui ed ora.
La fiamma muove, riporta ai luoghi più intimi dell’anima, rendendo il sognatore di fiamma, un poeta in potenza. La piccola fiamma è una grande presenza che permette all’uomo di andare lontano, di distaccarsi dal mondo e dilatare lo spazio e il tempo.
Nella penombra che la piccola luce rende possibile, il sognatore di fiamma può trovare la dimensione del risveglio di una coscienza che ha una presenza che dura e che accede alle ombre dell’inconscio in cui «la rêverie conosce infinite gioie!».
Bachelard ci conduce per mano ad esplorare la differenza fra lo sforzo di pensare, tipica dell’animus dello studioso che incontra le immagini, e l’amare e godere della dolcezza delle immagini. Un lavoro che trova il proprio compimento nel linguaggio poetico, la cui espressione per lo scrittore è proprio la rêverie, che è il linguaggio dell’anima.
Si attraversa il passato delle candele, scoprendo nella fiamma, il mondo. In particolare il mondo del filosofo che medita attraverso di essa.
Nella fisica stessa dell’atto di bruciare, la fiamma che è priva di consistenza, si scopre un essere forte. Un essere capace di farci accedere, attraverso l’apertura ad un viaggio di metafore ed assonanze che avvicinano la fiamma alla dinamica del pensiero ed alla quiete del cuore.
Diviene metafora attraverso la quale descrivere il tempo perché, per Bachelard, «la fiamma è una clessidra che scorre al contrario verso l’alto. […] costruisce la propria forma, come se il tempo stesso avesse sempre qualcosa da fare» (pag. 30). E lo si scopre, questo lavorio della fiamma, quando ci si accorge delle diverse colorazioni della luce che il suo bruciare sprigiona. Si riconoscono la fiamma giallastra e la fiamma bianca che rimandano alla lotta fra valore e disvalore. La fiamma bianca, che ha distrutto le materialità che la nutrono, come ad esprimere una maggiore purezza, diviene espressione simbolica positiva di coscienza morale: «Chi brucia bene brucia alto. Coscienza e fiamma hanno lo stesso destino di verticalità» (pag. 33).
È un galoppare di immagini sensoriali che aprono agli infiniti destini della fiamma della candela. Laddove si apre un mondo infinito, si svelano e si alludono qualità archetipe che vengono colte dapprima nell’intimità della solitudine dell’uomo, descritta dall’autore attraverso la componente simbolica del bruciare della piccola fiamma che è «naturalmente sola, vuole restare da sola». In questo modo la fiamma diviene simbolo dell’essere-divenire ed è quindi colei che «Sempre bruciando, […] deve re-infiammarsi, tener fede, contro una materia inerte, al comando della propria luce» (pag. 45). Il mistero celato nell’armonia dell’essere fiamma, diviene così una sintesi fra le forze di Eros e Thanatos. La sintesi di questi due principi è la trasformazione, poeticamente allusa, che ha bisogno di una fiamma che schiarisca le ombre ma che allo stesso tempo mantenga intatto lo spirito della notte, come luogo di veglia, di studio, di sogno.
Per Bachelard la fiamma della candela diventa maestra di volontà: chi vuole ascendere con tutte le proprie forze, chi vuole volare là dove stanno i sogni più alti, necessita della sintesi delle forze di natura espressa dalla fiamma stessa che diviene, nella sua massima espressione, luce. Bachelard coglie, infatti, come «È la luce che toglie al fuoco la sua potenza di soggetto assoluto», nello slancio di andare oltre se stessa, di perpetrare il proprio esistere al di sopra della fiamma dove si consacra la luce più pura a cui diamo il nome di Spirito.
Nell’incanto della veglia della rêverie, il poeta si sposta dolcemente, esplorando la fiamma attraverso le immagini che ritrova nella vita vegetale. Qui si fa strada l’esercizio bachelardiano delle sentenze poetiche: frasi che condensano e sintetizzano la potenza di una verità del mondo, attraverso l’immagine. Si addentra con questa modalità incontrando l’albero, espressione terrena della fiamma della candela, le cui radici affondano nella terra cogliendo il nutrimento di cui bruciare, infiammandosi nelle foglie e nei fiori che si dispiegano nell’aria. Ci fa addentrare in questo mondo poetico attraverso voci di diversi poeti e scrittori, di cui si serve per costellare il potere igneo dell’albero, e con esso il rimando alla fiamma-luce, per celebrare la vastità a cui introduce il sapiente uso dell’immagine.
Lo fa sapendo che, da lì a poco, saremo ricondotti dalla sua stessa mano al clima più intimo della luce della lampada. La praticità della lampada elettrica non può competere con la compagnia vissuta da un oggetto familiare: la fiamma umanizzata della lampada, nella quale è accesa la piccola luce. Pare di respirare il silenzio, di recuperare «un tempo che va meditato nella sua lentezza». Un tempo che sembra saper attendere, assieme alla lampada. Un oggetto che apre l’ultima porta di questo piccolo libro di rêverie, direttamente nella stanza più intima di Gaston Bachelard, il luogo in cui si narra la relazione d’amore fra il poeta e la sua lampada, la sua lampada e il foglio bianco: «l’essere che sogna si concentra in essa per riportare a memoria l’essere che lavorava. […] L’autentico spazio del lavoro solitario è, in una piccola stanza, il cerchio rischiarato dalla lampada.» (pag. 99).
Si tratta di una splendida lettura che, nello scorrere delle pagine rapiti dalle immagini, ci fa domandare: ma è l’immagine che nidifica in me, o io nell’immagine?
Ecco dunque come ci si accorge di aver fatto esperienza diretta di ciò che accade nella contemplazione immaginifica della rêverie della fiamma della candela, divenuta oggetto di meditazione poetica, compagna di viaggio, maestra di vita per il sognatore ed il lettore dell’anima.
Sinossi
Il libro “La fiamma di una candela” introduce direttamente al mondo dell’Immaginario, conducendo il lettore a fare esperienza attiva della rêverie. La fiamma della candela diviene il centro della meditazione sognante dello scienziato poeta che chiarisce il bisogno di recuperare il dialogo ed il confronto con le immagini come prodotti della psiche in grado di svelare, attraverso l’allusione metaforica ed il linguaggio poetico, quegli aspetti dell’esperienza della coscienza umana includendo gli aspetti di trascendenza.
Gaston Bachelard, La fiamma di una candela, SE Edizioni, Milano, 2005 - Titolo originale: Le flammee d’une candele (1961)
*Dr.ssa Naike Michelon - Psicologa e psicoterapeuta, Docente Responsabile dell’Insegnamento di Tecniche di terapia ecobiopsicologica presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Istituto ANEB. Terapeuta EMDR