La sfida della complessità
Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti (a cura di)
a cura di Dr.ssa Costanza Ratti*
Verso la metà degli anni Ottanta, un piccolo gruppo di studiosi, guidati da Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti diedero vita a un vivace dibattito inter- e trans-disciplinare che coinvolse, nel coraggioso progetto di comporre il mosaico della nascente complessità, molti ricercatori italiani e stranieri. Il luogo di questi fortunati incontri fu la Casa della Cultura di Milano guidata dall’allora presidente Cesare Musatti. Dall’intreccio delle riflessioni di questi pensatori nacque un progetto scientifico-filosofico più vasto che prese il nome di epistemologia della complessità, nel quale i fenomeni di auto-organizzazione rilevati da Ilya Prigogine e Isabelle Stengers, i processi di autopoiesi e cognizione proposti da Humberto Maturana e Francisco Varela, il concetto di Gaia elaborato da James Lovelock, la nozione di complexity from noise di Henri Atlan, affiancati dalle riflessioni storico-filosofiche di Morin, Bocchi, Ceruti e di molti altri, confluivano nella comune descrizione di una realtà non invariabilmente prevedibile, necessaria, semplificabile, come ce l’aveva descritta la scienza classica, bensì indeterminata, a tratti caotica e profondamente complessa.
Il problema dei fenomeni complessi, che la scienza per più di un secolo mise in luce in molti campi, risiedeva nel fatto che l’incapacità dell’uomo di conoscerli nella loro totalità e di prevederne l’evoluzione non era soltanto un fatto transitorio che sarebbe stato superato con una tecnologia più evoluta e conoscenze più sofisticate, e nemmeno era una limitazione intrinseca alla finitezza della mente umana a cui poter opporre, almeno idealmente, un dio, o un demone onnisciente che in ogni momento sapeva, pur nella ignoranza della sua creatura. Niente di tutto ciò.
Con lo stesso sconcerto e stupore con cui i Pitagorici dovettero scoprire l’irrazionalità della diagonale del quadrato, la scienza del Novecento aveva incontrato una forma della natura del tutto refrattaria all’essere inquadrata in una visione ideale nella quale la scienza classica l’aveva costretta per secoli.
Mentre questa giovane natura ribelle scandalizzava le coscienze cresciute nell’alveo del determinismo e faceva vacillare alcuni dei principi secolari sui quali la scienza si era basata, il ricercatore curioso, l’Ulisse contemporaneo, di cui gli autori del testo sono originali rappresentanti, intravide in questa rottura anche una possibilità. Se la natura non seguiva del tutto e univocamente delle regole codificabili, e nemmeno una super-mente tecnologica o onnisciente era in grado di coglierla globalmente, allora vi erano spazi per l’imprevisto, nicchie di libertà persino nel moto ordinato del cosmo, vi era posto per la novità e la sorpresa. Le ricerche della complessità mostravano proprio come nelle situazioni di lontananza dall’equilibrio (Prigogine), tra le pieghe apparentemente superflue della comunicazione (il rumore di Atlan), nelle sequenze silenti del DNA (epigenetica), proprio in queste sacche apparentemente marginali della realtà, potevano comparire nuove forme di auto-organizzazione. Il caso divenuto esemplare grazie agli studi di Prigogine fu quello delle celle di Bénard, strutture esagonali scoperte dal fisico Bénard che si creano spontaneamente da movimenti convettivi organizzati in un liquido, quando esso viene scaldato oltre una certa temperatura, in virtù di una retroazione positiva di rafforzamento in seguito a una minima perturbazione del sistema.
La natura ribelle non era allora solo l’apparire di caos, confusione, indeterminatezza, ma anche l’emergere, proprio in quella incertezza, di forme di organizzazione spontanee e impreviste, proprio come la psicoanalisi e la psicologia analitica di inizio secolo avevano mostrato con la scoperta dell’inconscio. Non solo serbatoio caotico di pulsioni sregolate, ma anche potenziale energetico dotato al fondo di una sua organizzazione formale, personale o archetipica, che poteva emergere in alcuni momenti particolari di lontananza dall’equilibrio cosciente (ad esempio il sonno) con immagini dotate di una loro armonia (i sogni) o in situazioni emotive di particolare intensità in cui la psiche e la realtà potevano esprimere un simbolo affine (sincronicità).
Nei quattro decenni successivi all’inizio di quella sfida, l’epistemologia della complessità si è assunta il compito di legittimare nel sapere la quota imprevedibile e complessa della natura ed è divenuta la base di conoscenza di molte scienze psico-sociali, tra cui l’ecobiopsicologia, mentre continua a ispirare le ricerche più all’avanguardia nelle scienze della natura.
Il libro raccoglie i contributi di molti tra i più straordinari ricercatori della complessità che ci offrono una visione del mondo e del sapere ricca, dinamica, cangiante, aperta ad una molteplicità di possibili esplorazioni. Come scrive Bocchi, con una trasparenza che di questi tempi può essere illuminante: «comprendiamo la possibilità – e la necessità – di trattare l’incertezza non come il peggiore nemico, ma come il migliore alleato. La costruzione del futuro è una sfida ineludibile, una sfida che richiede alla nostra attività di progettazione un nuovo spirito evoluzionista. Come osserva Eric Jantsch: “progettare in uno spirito evoluzionista non comporta la riduzione dell’incertezza e della complessità, ma il loro aumento. Aumenta l’incertezza perché decidiamo di aumentare lo spettro delle scelte. Entra in gioco l’immaginazione. Invece di fare ciò che è ovvio, vogliamo ricercare e tenere in considerazione anche ciò che non è così ovvio”» (Bocchi, Ceruti, 2007, p. 402).
Il ricercatore, in fondo, non chiede forse di scoprire che la natura e la psiche oltrepassano i suoi schemi e le sue rappresentazioni e lo spingono sempre verso nuove esplorazioni e trasformazioni?
Gianluca Bocchi, Mauro Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Bruno Mondadori, Milano, 2007
Sinossi
La sfida della complessità nasce dall’irruzione dell’incertezza nelle nostre conoscenze, dallo sgretolarsi dei miti che per secoli hanno regolato il cammino della scienza moderna. Ma d’altra parte la fine della certezza, della completezza, dell’esaustività e dell’onniscienza non segnala soltanto la fine di un ordine, ma rende ineludibile una trasformazione delle domande e delle risposte su cui è basato il nostro sapere.
Chiamati a raccolta da Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti a metà degli anni ottanta, scienziati e pensatori come Ilya Prigogine e Francisco Varela, Stephen Jay Gould e Heinz von Foerster presentano e confrontano i loro itinerari nella “nuova scienza”, in un’opera che ha mantenuto intatta la sua freschezza ed esemplarità.
*Dr.ssa Costanza Ratti - Laureata in Storia culture e civiltà orientali e in Psicologia clinica, poi dottore di ricerca in Antropologia ed Epistemologia della complessità con una pubblicazione nel 2017 dal titolo "Il sacrificio nell'Israele antico". Si è specializzata in psicoterapia presso l’Istituto ANEB. Lavora come psicologa e psicoterapeuta presso Fondazione Esperia a Milano e ha collaborato con l’università di Bergamo.