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Morbo di Crohn e visione ecobiopsicologica

Morbo di Crohn e visione ecobiopsicologica

di Debora Ciampolini

>>> Leggi l’articolo completo qui pp. 65-73 <<<

Il lavoro che desidero presentare è un elaborato di psicosomatica che tratta il morbo di Crohn in ottica ecobiopsicologica. La malattia di Crohn, nota anche come enterite regionale, è una malattia infiammatoria cronica dell’intestino (MICI) che può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, dalla bocca all’ano, provocando una vasta gamma di sintomi. Inizialmente ho esposto la trattazione fisiopatologica sottolineandone l’importanza per l’Ecobiopsicologia che considera mente e corpo non più come due entità separate, ma espressione simbolica di un unico significato.
Nel panorama delle scienze della complessità «l’Ecobiopsicologia si pone come una nuova disciplina con il compito di porre in relazione i codici semiologici delle infinite forme del mondo vivente e i loro particolari linguaggi (aspetto ecologico), con gli analoghi linguaggi del corpo umano, che nella sua ontogenesi ricapitola la filogenesi del mondo cosiddetto biologico, per poi ritrovare la relazione tra “mondo” e bios umano, negli aspetti psicologici e culturali dello stesso, grazie ai miti, alla storia delle religioni ed alle immagini collettive dell’umanità (aspetto psicologico)» (Frigoli, 2016, pag. 9).
Tra le molteplici citazioni, due sono molto suggestive: la prima è del Dott. Diego Frigoli: «si afferma che l’anima è costretta ad ammalarsi sempre, di nuovo, fino a che non ha ottenuto ciò che vuole e ciò che vuole è l’autenticità della propria condizione umana, la libertà della propria espressività e la realizzazione della propria progettualità. Quando l’autenticità, la progettualità e la libertà sono in varia misura compromesse, allora la nostra anima, il nostro Sé psicosomatico soffre e manifesta la sua sofferenza in quella condizione umana che l’Io chiama malattia». Si evince che la malattia non è da intendersi come un fallimento, bensì come un’opportunità per la nostra individuazione, una possibilità per ricercare un nuovo orientamento di vita.
La seconda è di James Hillman che, ispirandosi a Platone nel mito di Er, cita: «ciascuna persona viene al mondo perché è chiamata prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro» (Hillman, 1997, pp. 22-23); in questo caso il fenomeno del Crohn potrebbe essere benissimo la voce, somatica e violenta, di un daimon sofferente.
Ho esaminato il morbo di Crohn estrapolandone gli aspetti principali quali: le sue componenti autoimmunitaria ed infiammatoria, la localizzazione e segmentazione, l’aspetto genetico ed epigenetico, mediante l’utilizzo dell’analogia e del simbolo, soffermandomi sulle funzioni nutritiva e di assimilazione in quanto il Crohn può coinvolgere tutto l’apparto digerente. Da un punto di vista simbolico la nutrizione rimanda ad una comunicazione tra l’individuo e il mondo esterno necessaria per il proseguimento della vita. Il nutrimento non è solo biologico ma soprattutto affettivo perché tale funzione si sviluppa a partire dalla relazione madre-bambino all’interno della quale, in questi primi momenti di scambio, il bisogno di cibo ed affetto sono fusi ed inizialmente non distinguibili per il piccolo.
Ho specificato come rabbia ed aggressività siano analoghe al calore del fuoco ed al rossore delle parti infiammate; è importante capire come sono state vissute tali emozioni per comprendere alcune manifestazioni patologiche come la diarrea, che sottolinea come l’acqua non sia assorbita ed espulsa violentemente. L’acqua e le componenti liquide, come ad esempio i succhi gastrici, pur essendo diversi e con diverse capacità dissolventi, hanno come base comune la liquidità, che riporta all’acqua e più specificatamente all’acqua di mare, la cui composizione salina si ritrova nel plasma sanguigno, è possibile dunque fare un traslato sulle emozioni, da cui l’epistemologia “emo-agere”, cioè agire sul sangue. La rabbia prima citata non è una rabbia adulta ma una rabbia primaria data da un mancato accudimento, una mancata sintonizzazione con il caregiver, un mancato nutrimento. Più la rabbia è primaria, quindi i traumi sono relativi alle primissime fasi della nostra formazione psicologica, addirittura prenatali, ad un periodo della vita dove i nuclei frontali non sono sviluppati in modo da garantire il passaggio dal limbico alla corteccia e portarli alla coscienza, più la dimensione risulta essere quella d’organo. I pazienti psicosomatici, tendenzialmente alexitimici, non riescono ad esprimere a parole le loro emozioni e non riescono a sublimare catarticamente l’energia accumulata nell’organo attraverso la parola. I traumi sono legati alla memoria implicita ed esplicita che da un punto di vista ecobiopsicologico ci ricorda i MOI ed i MOI-D.
Con l’Ecobiopsicologia si accede all’archetipo nel corpo e l’anello di congiunzione tra mente e corpo deriva dagli studi di Maturana e Varela con il concetto di “autopoiesi”. L’Ecobiopsicologia vede la malattia come una dis-informazione tra l’Io ed il Sé, il disturbo corporeo come espressione di un immaginario in cui l’emozione è congelata nel corpo e la psicoterapia lo strumento per renderlo fruibile alla mente una volta che si esprime attraverso la parola in un senso più coerente possibile con la storia del paziente. Con l’anamnesi si individua l’influenza archetipica; analogia, simbolo e sincronicità garantiscono una risignificazione della storia del paziente che diventerà un romanzo e definirà il percorso di individuazione.

AUTRICE: Debora Ciampolini – Psicologa e Psicoterapeuta in formazione presso l'Istituto ANEB

References
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Immagine
Agnolo Bronzino, particolare da An Allegory with Venus and Cupid, Londra, National Gallery, 1545