Acqua: dall’infrarosso all’ultravioletto in una prospettiva eco-bio-psicologica
* A cura di Silvia Malavisti, psicologa ANEB
L’acqua, elemento primario della vita, entrando in contatto con l’uomo assume mille facce e si arricchisce di mille significati, ma, in tutte le culture e tradizioni, l’acqua ha conservato caratteristiche di elemento generatore, purificatore e rigeneratore, con riti e formule che prescrivono da dove debba essere attinta e come debba essere utilizzata. Potenza genitrice ma anche forza distruttrice, non a caso, in tutte la mitologie, dall’Epopea di Gilgamesh a Noè, a Deucalione e Pirra, è presente il mito del diluvio universale; l’acqua costituisce risorsa da conservare, da conquistare, da difendere, tanto che il suo possesso o la sua mancanza hanno regolato e regolano tuttora molti rapporti fra gli uomini e popoli.
Se non mancano dunque esempi nel mito greco, non mancano neppure in quelli di altre culture, dall’antico Egitto al popolo di Israele, dalle civiltà mesopotamiche a quelle hindu, tanto che Eliade afferma: “In tutte le cosmogonie, l’acqua pre-esiste a qualsiasi forma; le acque simboleggiano la somma universale delle virtualità, esse sono fons ed origo, il serbatoio di tutte le possibilità dell’esistenza, esse precedono tutte le forme e fanno da supporto ad ogni creazione” (Eliade, 2008, 231).
Con il passaggio dal mithos al logos, Talete, il primo filosofo di cui si ha notizia, afferma che il “principio, l’archè, è l’acqua”. In Aristotele infatti si legge: “Ci dev’essere una qualche sostanza, o una o più di una, da cui le altre cose vengono all’esistenza, mentre essa permane. Ma riguardo al numero e alla forma di tale principio non dicono tutti lo stesso: Talete, il fondatore di tale forma di filosofia, dice che è l’acqua” (Aristotele, Metafisica, I, 3).
Arrivando ai giorni d’oggi e considerando le ricerche scientifiche più recenti si nota una sorta di continuità tra il pensiero del filosofo ionico e alcune affascinanti teorie contemporanee, quali l’ipotesi della memoria dell’acqua all’interno della fisica quantistica di Del Giudice (Del Giudice et al., 2009, 1874-1879) per cui, tra le proprietà della molecola più diffusa e più importante per la vita sulla Terra, e nell’intero universo, ci sarebbe proprio la cosiddetta “memoria”, o la teoria di Gaia di Lovelock (Lovelock, 1981,14), che, aprendo la strada alla geofisiologia, suggerisce una visione olistica del macrocosmo, di cui fa parte il microcosmo umano. Secondo questa teoria, infatti, gli esseri viventi del nostro pianeta, le relazioni che hanno tra loro e con gli ambienti fisici, i loro ecosistemi possano essere considerati come un unico organismo autoregolante, capace di mantenere le sue caratteristiche chimico-fisiche in condizioni idonee alla presenza della vita.
Come elemento materiale, del resto, l’acqua sulla Terra copre il 71,12% della superficie del pianeta ed è il principale costituente del corpo umano, assumendo in natura più forme, sia solide, sia liquide o aeriformi, inoltre ha importanza come solvente, soluto, reagente, catalizzatore e biomolecola, strutturando proteine, acido nucleico e cellule. L’acqua interagisce costantemente con gli altri costituenti ambientali, i rimanenti tre elementi: l’aria nella sua evaporazione, la terra nel suo filtrare i terreni, il fuoco solare, che consente di scindere la sua molecola in idrogeno e ossigeno, e così consente quel meraviglioso fenomeno della fotosintesi, che è il preludio alla formazione del glucosio, base del metabolismo di tutti i viventi. L’acqua e la vita sono strettamente collegate, tesi affermata dagli scienziati ancora oggi, ma anche aspetto riconosciuto nel corso della storia, se pensiamo che le più antiche civiltà si sono costituite lungo il corso dei grandi fiumi asiatici ed africani. Per dare inizio alla vita è necessaria dunque acqua e così pure per mantenerla, visto che nessun enzima funziona in assenza di molecole di H2O, e nessun altro liquido può sostituirla.
Nell’organismo umano l’acqua è il mezzo in cui hanno luogo molte reazioni chimiche, perché in alcuni casi essa agisce come catalizzatore, in altri prende parte alla reazione stessa. Fondamentale, ad esempio, è il ruolo dell’acqua nei processi digestivi, dove interviene nelle reazioni di idrolisi per la scissione delle molecole complesse ingerite con l’alimentazione in altre più semplici e assimilabili. I valori indicativi riguardanti il contenuto di acqua nel corpo umano variano nelle diverse fasce di età, tanto che si va dall’embrione in cui il contenuto d’acqua raggiunge il 94% del peso corporeo, all’adulto, con il 59%, fino all’anziano, nel quale comunque l’acqua rappresenta più del 50%. L’acqua è distribuita nel corpo umano in due grandi comparti: quello intracellulare e quello extracellulare. Circa il 60% del contenuto idrico totale è costituito dall’acqua intracellulare, che prende parte alle reazioni biologiche che avvengono all’interno delle cellule e di cui costituisce parte della struttura; la rimanente parte è costituita dall’acqua extracellulare, che comprende i liquidi interstiziali, il plasma e il tessuto connettivo ed osseo. La concentrazione salina nell’acqua presente nel corpo umano è regolata da equilibri osmotici. Se il sangue è composto per il 90% d’acqua, negli organi e nei tessuti l’acqua non è equamente distribuita. In alcuni, come ad esempio l’occhio, i polmoni ed il cuore, è presente in elevate percentuali, che si aggirano attorno all’80%, mentre nelle sostanze adipose le concentrazioni sono molto più modeste (inferiori 10%).
È evidente quindi che l’acqua riveste un ruolo di straordinaria importanza nell’organismo umano, è un elemento indispensabile al corretto mantenimento delle funzioni vitali. Grazie alle sue particolari proprietà chimico-fisiche, l’acqua è coinvolta in quasi tutte le funzioni del corpo umano, motivo per cui la sua presenza viene mantenuta pressoché costante: quando scarseggia, interviene il meccanismo della sete, mentre in caso di eccessi l’espulsione avviene velocemente attraverso le urine o l’aumento della sudorazione. Il nostro organismo sopporta soltanto piccole variazioni del contenuto totale di acqua, tanto che il digiuno alimentare può essere protratto per alcune settimane, mentre è del tutto impossibile stare senza bere per pochi giorni. Inoltre la fisiologia afferma che il nostro plasma sanguigno ha la stessa salinità dell’acqua di mare, si evince subito un legame analogico rappresentato dall’acqua fra la filogenesi (l’evoluzione delle specie) e l’ontogenesi (evoluzione dell’individuo).
Passando nell’ultravioletto, questa equivalenza mare/liquido amniotico, è stata ben descritta, già negli anni Venti, da uno psicoanalista di impostazione freudiana, Ferenczi, il quale afferma: “Che cosa succederebbe se tutta l’esistenza intrauterina dei mammiferi superiori non fosse altro che una ripetizione dell’antica forma di esistenza acquatica e se la nascita rappresentasse semplicemente la ricapitolazione individuale della grande catastrofe che, con il prosciugarsi degli oceani, ha costretto i nostri antenati animali, ad adattarsi alla vita terrestre e a rinunciare alla respirazione tramite branchie per sviluppare organi idonei a respirare nell’aria? È possibile che questo simbolismo esprima […] il fatto che l’uomo, in quanto individuo, prima della nascita risulta essere un endoparassita aereo della madre (ontogenesi), ma anche che, nell’evoluzione della specie, la terra e l’oceano abbiano avuto il ruolo di precursori della maternità e costituito essi stessi un’organizzazione protettrice, avvolgendo e nutrendo i nostri antenati animali (filogenesi). Ne scaturisce la seguente interpretazione filogenetica. Rientrare nell’acqua costituisce il simbolismo più arcaico, quello del ritorno nell’utero materno: laddove essere salvato dalle acque mette piuttosto l’accento sull’atto della nascita, sul parto, ovvero sull’approdo alla terra […]. La prima grande minaccia abbattutasi sugli animali, tutti originariamente acquatici, non era il diluvio, ma il prosciugamento degli oceani” (Ferenczi, 1993, 36-83).
L’immagine del mare come utero materno si trova anche in Bachelard, il quale fa notare come, non a caso, in francese mare si dice la mer, femminile come la mère, madre, perché in qualche modo madre di tutte le creature: “Il suo essere femminile si esprime poi nell’arte di saper cullare; […] i suoi movimenti e il suo suono richiamano il ritmo del cuore e della respirazione, convincendo l’uomo a lasciarsi andare ora da una parte ora dall’altra, così come fa il bimbo che per essere addormentato si abbandona nelle braccia della madre confortato dal battito del cuore. Rispetto agli altri, l’acqua è infatti l’elemento cullante, galleggiante, che fa volare chi si adagia o si immerge in essa, spazio naturale in cui l’uomo ritrova il suo ambiente favorevole, che lo restituisce alla madre” (Bachelard, 2006, 132-160 ).
Per Freud, all’interno della teoria della libido, intesa come aspetto psichico della pulsione sessuale, dopo aver distinto tra libido dell’Io e libido oggettuale (Freud, 1990, 331-332), sognare acqua significherebbe essere madre o rivivere la simbiosi con essa: l’uomo si ritrova con l’acqua, perché nei suoi ricordi inconsci ritrova l’amore infantile della simbiosi con la madre o la nutrice.
Secondo la concezione di Jung, la libido, intesa come desiderio o impulso non inibito da istanze morali o di altro genere, non necessariamente di natura sessuale, può essere convogliata e impegnata per lo svolgimento di diverse attività psichiche. Essa, cioè, assume la fondamentale caratteristica di risultare suscettibile a processi trasformativi, funzionali allo sviluppo ontogenetico (Frigoli, 2016, 42-43). Pertanto, anche l’archetipo junghiano della Grande Madre possiede una serie infinita di aspetti: “in primo luogo la propria madre, in senso più elevato la dea madre, in senso lato il mare, l’acqua stagnante, la materia: materia e matter hanno la stessa radice indogermanica della parola madre” (Tronchin, 2009, 42). In natura, l’elemento acquatico associato al nutrimento non può essere che il mare, per cui Jung afferma: “L’acqua in tutte le sue forme – in quanto mare, lago, fiume, fonte ecc. – è una delle tipizzazioni più ricorrenti dell’inconscio, così come essa è anche la femminilità lunare che è l’aspetto più intimamente connesso con l’acqua” (Jung, 1990, 285).
L’acqua, elemento primario della vita, ci appare in diverse declinazioni, dalla composizione fisico-chimica al valore simbolico, dall’aspetto mitico-religioso alla prospettiva terapeutico-psicologica, fino a suggerire un’affascinante ipotesi di lavoro: la sua dimensione ecobiopsicologica. L’ecobiopsicologia, del resto, come sviluppo delle scienze della complessità, si situa in uno spazio intermedio, che cerca di conciliare gli aspetti degli istinti corporei e le immagini corrispondenti di tipo psichico, superando la separazione fra la dimensione corporea della materia e gli aspetti più evanescenti delle immagini psicologiche.
L’acqua è uno degli quattro elementi primordiali – Terra, Acqua, Aria, Fuoco – e la sua osservazione, condotta secondo il metodo ecobiopsicologico, permette di cogliere il significato olistico della realtà umana, dove l’ontogenesi ricapitola e si identifica con la filogenesi, il microcosmo ripropone il macrocosmo ed il corpo diventa mandala dell’universo, recando in sé, in una accezione del tutto nuova, il concetto di “informazione” genetica e il corrispondente archetipo junghiano.
Solo accettando tali considerazioni, diventa possibile anche una psicoterapia che tenga veramente conto del fatto che nell’uomo psiche e corpo sono legati fra loro in un processo reciprocamente trasformativo. L’acqua può essere l’elemento capace di cogliere, simbolicamente ed analogicamente, l’“infrarosso” degli istinti e della materia e l’“ultravioletto” delle immagini archetipiche, portando ad una diagnosi ecobiopsicologica, la quale, grazie ad un’analisi che arricchisce il tradizionale approccio psicosomatico, aggiungendovi il termine di “integrale”, che nell’etimologia della parola contiene la radice gr espressione della generatività, lo rende nello stesso tempo più complesso e più coerente alle dinamiche profonde del paziente.
Quale elemento, dunque, più dell’acqua, potrebbe rappresentare, concretamente e analogicamente, tale continuum tra la materialità più bassa e multiforme e la sovrapsichicità individuale degli archetipi junghiani?
Bibliografia
Bachelard G., Psicanalisi delle acque (1942), Red!, Milano, 2006.
Eliade M., Trattato di storia delle religioni (1948), Bollati Boringhieri, Torino 2008.
Del Giudice E. et al., Thermodynamics of irreversibile processes and Quantum Field Theory: An interplay for the understanding of ecosystem dynamics, in “Ecological Modelling”, 220, 2009.
Ferenczi S., Thalassa (1923), Raffaello Cortina, Milano 1993.
Freud S., Introduzione alla psicoanalisi (1916), Bollati Boringhieri, Torino 1990.
Frigoli D., Il linguaggio dell’anima, Magi, Roma 2016.
Jung C. G., Mysterium coniunctionis (1955-1956), in Jung C. G., Opere, vol. XIV, t. 2, Boringhieri, Torino1990.
Lovelock J., Gaia. Nuove idee sull’ecologia (1979), Bollati Boringhieri, Torino 1981.
Tronchin L., Il simbolico e l'immaginario dei quattro elementi, Istituto biocentrico, Venezia 2009.