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Ecobiopsicologia ai tempi del Coronavirus

Ecobiopsicologia ai tempi del Coronavirus

*A cura di Alessandra Monti e Costanza Ratti, psicoterapeute ANEB

Di fronte all’emergenza epidemica che sta mettendo a dura prova il nostro paese sono molte le domande e le considerazioni che sorgono in noi psicoterapeuti ecobiopsicologici sul tema del virus considerato dal punto di vista infrarosso e ultravioletto, in particolare sollecitate da due post scritti recentemente dal dottor Frigoli sulla sua pagina Facebook. Proveremo qui a sintetizzarle, con l’intento di sollecitare nel lettore personali riflessioni.

Si parla di virus specialmente nel periodo invernale quando iniziano i classici mali stagionali: raffreddore, influenza, mal di gola. Ma cosa sono esattamente?

I virus sono microrganismi piccolissimi (0,02-0,3 μm fino ad un massimo di 1 μm) definiti, in linguaggio tecnico, parassiti endocellulari obbligati, cioè dei microrganismi che per vivere e riprodursi hanno bisogno di una cellula, detta anche ospite, che può essere di origine batterica, vegetale o animale. Sono estremamente semplici dal punto di vista strutturale e presentano un rivestimento esterno di proteine e lipidi, all’interno del quale è presente un mantello protettivo chiamato capside che circonda il genoma virale, che può essere DNA o RNA, e tutte le sostanze necessarie per permetterne la replicazione. Il loro meccanismo generale di funzionamento è piuttosto semplice: una volta legati alla membrana della cellula ospite attraverso dei recettori penetrano all’interno della cellula e perdendo il loro involucro esterno liberano all’interno della cellula sia il proprio genoma, DNA o RNA, che le sostanze necessarie alla replicazione. Si innescano così una serie di processi che portano alla produzione di nuovi microrganismi virali completi e in grado di replicarsi a loro volta. Completata la replicazione del virus, la cellula ospite in genere muore liberando i nuovi microrganismi nell’ambiente circostante dove possono continuare il loro ciclo vitale infettando una nuova cellula ospite.

I coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle East respiratory syndrome) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome). Sono chiamati così per le punte a forma di corona che sono presenti sulla loro superficie. I coronavirus sono comuni in molte specie animali (come i cammelli e i pipistrelli) ma in alcuni casi, se pur raramente, possono evolversi e infettare l’uomo per poi diffondersi nella popolazione. Di recente alcuni studi hanno messo in luce la correlazione tra il mutamento degli ambienti generato dall’uomo (deforestazione, urbanizzazione) con l’incremento delle nuove malattie di origine zoonotica (Quammen D., Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Adelphi, Milano 2017). A differenza dei batteri, i virus non sono sensibili ai farmaci, anche se si sono fatti passi avanti nella lotta contro le malattie virali attraverso efficaci metodi di vaccinazione.

Perciò, scrive il dottor Frigoli, se le cose stanno così sul piano biologico, quali saranno gli analoghi psichici? Quali idee parassite, nell’immaginario collettivo, si comportano per la nostra coscienza come i virus, inducendo nell'umanità comportamenti irrazionali e distruttivi?  

La Società Italiana di Psichiatria (Sip) sostiene che l’epidemia da coronavirus ha due facce, una di tipo biologico e una più legata alla mente, dunque più nascosta perché non si può misurare con un termometro, ma  altrettanto pericolosa. “Gli esseri umani – spiega Enrico Zanalda, Presidente Sip – hanno una paura che li accomuna: il timore di essere travolti da un’epidemia. È una paura così radicata da arrivare a far compiere azioni incontrollate, quelle di chi non sa più cosa fare e le prova tutte per salvarsi. Questo timore atavico – precisa Zanalda – è amplificato dalla infodemia, la diffusione virale e velocissima, che in passato non esisteva, di notizie parziali e contraddittorie. Ciò incrementa lo stato d’ansia, i pensieri ipocondriaci, e influenza contenuti deliranti con comportamenti emotivi conseguenti”.

E a questo proposito scrive il dottor Frigoli “Di fronte all'epidemia del "corona virus" sembra che la umanità abbia barattato la realtà con le informazioni dei social: sappiamo poco di tutto, ma non sappiamo vivere meglio, perché l'arte del vivere dipende dalla ricerca della verità e non dal numero delle informazioni immagazzinate. La verità deriva dalla ragione, tanto più vera quanto più ispirata dalla coscienza, e non dalle emozioni, che riguardano le nostre personali convinzioni costruite dalla storia biografica. All'Io che "pronuncia" se stesso su Facebook e Twitter, che "annuncia" se stesso su Instagram, che "rinuncia" a se stesso nel flusso maniacale di un Tik-Tok senza un senso... occorre sostituire la ricerca del Sé, che esplora, valuta e critica la realtà, considerandola non nei suoi limiti estremi, ma come esperienza riflessiva di un senso che l'Uomo deve ritrovare. I primi filosofi interrogavano la realtà per cercare la verità e questa era un'arte del vivere; oggi, dalle istituzioni alla coscienza collettiva, non si vuole vedere la realtà, dimenticando così che il nostro futuro può nascere solo dal faccia a faccia con il passato e il presente.

In questo post, il dott. Frigoli ci invita a una ricerca della verità non solo di quello che sta accadendo al di fuori, di un ospite inatteso e scomodo che fa la sua comparsa sul palcoscenico del nostro mondo rimasto quasi “incantato” dal dopoguerra a oggi, ma anche la verità di ciò che questo delicato frangente implica per la formazione della nostra umanità individuale e collettiva. Verità e realtà che, in senso ecobiopsicologico, implicano l’affiancare alla visione necessaria ma pur sempre parziale dell’io, la più solida ricerca fondata sul Sè.

Mutuandola da Keats, Bion ha chiamato “capacità negativa”, la facoltà di sostare nell’incertezza di uno stato emotivo che non ha ancora preso una forma pensata, senza affrettare ragionamenti razionali o interpretazioni. Essa è negativa in quanto implica per l’analista la rinuncia ai propri desideri coscienti o inconsci, alle aspettative di cura e alla memoria biografica e autobiografica, ma allo stesso tempo è una capacità, ovvero una potenzialità di entrare ricettivamente in sintonia con i diversi livelli di comunicazione verbali non verbali, consci e inconsci del paziente attraverso la rêverie e l’intuizione. Questo stato mentale che si priva del conosciuto per attingere a una conoscenza nuova può valere tanto nel lavoro con il paziente, quanto per affrontare una situazione incerta e caotica come quella che stiamo vivendo oggi.

Il lavoro sull’immaginario condotto dal dott. Frigoli ci dice ancora qualcosa in più, ovvero l’idea che sgomberando il campo psicofisico dalle tracce emotive caotiche dell’inconscio personale, non soltanto aumentiamo la ricettività all’inconscio dell’altro, ma coltiviamo una specifica funzione connettiva/analogica della psiche che, opportunamente stimolata e interrogata, può produrre delle immagini sintetiche con cui ci avviciniamo alla conoscenza della realtà nelle sue molteplici sfaccettature. Platone la chiamava anima razionale, con un senso però ben diverso dalla razionalità positivistica come è stata intesa dall’illuminismo in poi, ma come quella facoltà che consente di risalire alle idee o archetipi che informano la realtà.

Una conoscenza di questo tipo che è soggettiva, analogica e aperta all’interrogativo diventa, secondo il dottor Frigoli, quanto mai necessaria in un momento in cui nell’incertezza sociale, si moltiplicano le fonti di informazione più o meno affidabili. Allora in che modo possiamo promuovere una conoscenza che sia nutritiva e amplificante come antidoto a pensieri vacui, ricorrenti, coattivi che infestano la nostra mente, proprio come dei virus? E sul piano collettivo quali sono le azioni che favoriscono una migliore socialità e un modo nuovo di stare insieme? In che modo possiamo attivare nell’individuo e nella collettività atteggiamenti resilienti, ovvero la capacità di riadattarci costruttivamente alla situazione in corso, restando sensibili alle opportunità della vita?

Queste sono solo alcune domande che come studiosi di ecobiopsicologia, anche nei tempi del coronavirus continuiamo a porci con curiosità, attenzione e uno sguardo complessivo e simbolico al mondo, alla psiche e al corpo.

 

Bibliografia

Frigoli D. (2017), L’alchimia dell’anima, Edizioni Magi, Roma.

Bion W (1970), Attenzione ed Interpretazione, Armando, Roma, 1973

Quammen D. (2017), Spillover. L’evoluzione delle pandemie, Adelphi, Milano.

 

Sitografia

https://www.iltascabile.com/scienze/incertezza-coronavirus/

https://www.iltascabile.com/scienze/spillover-coronavirus/

https://www.doveecomemicuro.it/notizie/approfondimenti/virus-malattie-infettive

https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/cosa-sono

https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=81852