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Ecobiopsicologia e Nuova Etica - Review

06 giugno 2020

Ecobiopsicologia e Nuova Etica - Review

* a cura di Costanza Ratti, psicoterapeuta ANEB

E’ un’etica del “cervello destro” quella che fa da sfondo al seminario Aneb tenutosi il 19 aprile in modalità online. Un’etica che il dott. Giorgio Cavallari chiama “etica incarnata”, “etica della complessità”, “etica dello sguardo” poichè che si fonda sulla vibrazione emotiva che risuona nell’individuo di fronte al bene e al male, un’etica che può, invece, disperdersi, con conseguenze devastanti per l’individuo e la collettività, quanto più il sentimento, sia esso amore, sofferenza, dolore, rabbia, frustrazione, desiderio ecc., è bandito dalla psiche, è isolato in uno spazio inaccessibile. Il dott. Cavallari sintetizza questo processo nel sogno che Dostoevskij descrive in Delitto e Castigo in cui un bambino, immagine del protagonista da piccolo, accompagnato dal padre, assiste allo spettacolo di una piccola cavalla costretta dapprima a trainare un calesse troppo pesante per lei e poi seviziata dal proprietario e dai suoi ospiti con colpi di frusta e di stanga fino alla morte. Mentre gli adulti sono presi da un’escalation mimetica di violenza, il bambino è l’unico a conservare lo sguardo di compassione e tenerezza, gettandosi sull’animale per proteggerlo, mentre il padre cerca di distoglierlo dal dolore con il semplice “non è roba che ci riguarda”. E’ solo riappropriandosi di quello sguardo di ritrovata umanità che si oppone all’indifferenza del dolore espressa dal padre, che il protagonista, come l’uomo contemporaneo, può entrare in contatto con sé stesso e le sue emozioni e cominciare il suo processo di trasformazione e guarigione.

Ecco, allora, che un’etica autenticamente ecobiopsicologica, come Neumann anticipava con il concetto di nuova etica, non può prescindere dalla riconnessione delle parti interne dell’individuo e delle sue emozioni, ed essere dunque un’etica dell’integrazione e della completezza.

Il sogno di Delitto e castigo apre al secondo contributo della giornata in cui la dott.ssa Simona Gazzotti, ci porta dentro l’esperienza del male come trauma, ovvero un evento che supera o eccede la capacità di una persona di proteggere il proprio benessere e la propria integrità psichica dall’angoscia che esso scatena. Gli studi più recenti sul trauma e sulla teoria dell’attaccamento hanno messo in luce in modo particolare gli effetti dell’attaccamento disorganizzato sulla capacità di modulare le emozioni e sulla regolazione delle funzioni corporee, nonché la diffusione epidemica di esperienze traumatiche di tipo relazionale o evolutivo dove la figura di accudimento è stata al contempo fattore di stress e sofferenza. Proprio a partire da tali studi, si profila sempre più l’idea che nel trattamento dei pazienti traumatizzati, la relazione in sé abbia un ruolo chiave, poiché come afferma Kalsched “ciò che è stato spezzato nella relazione deve essere riparato nella relazione” attraverso la modulazione e la regolazione degli stati del sé dissociati, nel transfert e controtransfert tra paziente e terapeuta. In questo senso, come afferma Schore, “il meccanismo di cambiamento relazionale implicato nell’alleanza terapeutica agisce non attraverso l’emisfero sinistro del terapeuta – trasmettendo interpretazioni di contenuto esplicite – ma attraverso il processi di comunicazione affettiva tra emisferi destri” (2011, p. 18), “right brain to right brain”. 

Un approccio transdisciplinare al tema dell’etica non poteva non includere una visione antropologica sull’argomento. Il dott. Leonardo Menegola mette a fuoco due momenti del male: la percezione interna, individuale e privata del male e la sua comunicazione all’esterno che trasforma l’esperienza privata in una realtà sociale che può essere dal mondo raccolta o ignorata, restituita o delegittimata. In questo senso, soggetto sofferente e società umana congiuntamente elaborano il male, lo gestiscono secondo le forme proprie di ciascuna cultura. Se l’esperienza soggettiva del male non è in linea di principio accessibile oggettivamente, ne consegue che Il male può essere definito solo per vuoto, ovvero riconoscendolo, non per ciò che è, ma per ciò esso rende possibile nei termini della strutturazione dell’esperienza umana secondo determinati valori e finalizzata all’organizzazione semantica del reale. Un esempio di una prima gestione del male come sofferenza è offerto da un aneddoto riguardante la celebre antropologa Margaret Mead, moglie di Gregory Bateson, che alla domanda di un suo allievo su quale fosse il primo segno civiltà, ella non si riferì a manufatti artigianali ma ad una cosa molto più semplice e complessa: un osso rotto e poi guarito, ovvero la prova che nel dolore di un uomo ad un certo punto ci fu un altro uomo che offrì aiuto, supporto e cura, il primo segno di civiltà nato proprio come gestione della sofferenza. 

Ed è un’altra gestione socioculturale del male fondata, questa volta, su un eccesso di bene che nega alcuni tratti meno nobili dell’essere umano, che è al centro del concetto di vecchia etica di Erich Neumann e della relazione della dott.ssa Costanza Ratti. Vengono messi in luce i rischi sociali e psicologici connessi a un’etica che valorizzi esclusivamente i valori ideali (bontà, bellezza, devozione, valore ecc.) in contrapposizione ad altre parti vitali della personalità (aggressività, asocialità, ecc.) e viene auspicato il passaggio a una nuova etica fondata invece sull’integrazione di tutte le parti dell’individuo e sulla creazione della sua originale costellazione psicofisica. Nel delineare le possibili applicazioni di questo principio all’ecobiopsicologia si sono messe in luce alcune virtù, già individuate da Platone nella Repubblica, la temperanza, il coraggio e la sapienza. La temperanza, intesa come armonia degli istinti, può tradursi nella clinica, nell’atto di ricomporre elementi slegati della biografia in un quadro unitario, di popolare di emozioni il racconto del paziente e di renderlo vivo. Il coraggio, come qualità emotiva che attinge al valore maschile, può invece esprimersi nella determinazione di paziente e terapeuta a smascherare la ripetizione di modelli disfunzionali e ad attivare le parti più vitali della persona. Infine, la sapienza in campo ecobiopsicologico può essere tradotta nella capacità di creare collegamenti tra le bande dello spettro ottico, infrarosso e ultravioletto, secondo l’analogia vitale, in modo da creare nella persona nuovi stati di coscienza e da ampliare le possibilità del suo immaginario.

Un vivace dibattito sul rapporto tra buono e bello, etica ed estetica, e un approfondimento sul narcisismo come male dell’età contemporanea ha visto infine interagire pubblico e relatori offrendo lo spunto per ulteriori aperture e approfondimenti futuri.

 

Bibliografia

Dostoevskij F. (1866), Delitto e castigo, Einaudi, Torino, 2014.

Kalsched D. (1996), Il mondo interiore del trauma, Moretti e Vitali, Bergamo, 2014.

Platone, La Repubblica, trad. it. a cura di F. Gabrieli, Bur, Milano, 1999.

Schore A. (2011), “Attaccamento, trauma e dissociazione: una premessa neurobiologica” in Bromberg P. M., L’ombra dello Tsunami. La crescita della mente relazionale, Cortina Editore, Milano, 2011.