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Hansel e Gretel: il percorso psichico della fiaba

6 novembre 2019

Hansel e Gretel: il percorso psichico della fiaba

Nelle fiabe, frutto di un sapere popolare che esprime e riporta la tradizione di un popolo, vengono proiettati gli elementi dell’inconscio personale e gli archetipi dell’inconscio collettivo. Così come nel sogno, anche nelle fiabe gli archetipi assumono forma e si manifestano in immagini e in rappresentazioni.
Jung affermò che le fiabe permettono di studiare al meglio l’anatomia comparata della psiche: esse sono infatti l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa (Von Franz, 1980). Marie-Louise von Franz (1915-1998), allieva e collaboratrice di Jung, provò ad analizzare le fiabe seguendo la teoria junghiana dell’inconscio collettivo e degli archetipi.
Von Franz considera le fiabe alla stregua di un sogno: non diversamente dal sogno, la fiaba è una rappresentazione simbolica di un determinato problema.
Ad un livello più ampio di analisi  la ritiene una compensazione inconscia dei valori dominanti presenti in una determinata cultura e società; infine sostiene che quasi tutte le fiabe ruotino intorno al tentativo di descrivere metaforicamente il processo di individuazione, o meglio il processo di incarnazione del Sé.
La storia raccontata in una fiaba è dunque la storia della psiche che, attraverso una serie di eventi, a volte pieni di rischi e pericoli, raggiunge una meta, un traguardo, un obiettivo. La fiaba diventa la metafora della storia della vita della psiche: narra le vicende, le peripezie, i tormenti, i dolori attraverso i quali essa giunge infine alla sua piena maturazione, liberandosi dai complessi che l’avvolgono e la mettono a dura prova, e nutrendosi della forza degli archetipi che, invece di distruggerla, finiscono con il fortificarla, riportandola a vita autentica.
Di seguito vedremo il percorso psichico narrato nella fiaba di “Hansel e Gretel” al cui centro vi è il tema della fame in quanto nutrimento affettivo che ci riporta ad un archetipo materno.
 

C’erano una volta due fratellini di nome Hansel e Gretel, che abitavano in una casina vicino al bosco. La madre e il padre erano molto poveri.
Una mattina il padre disse ai piccini: – Andiamo a tagliare la legna nel bosco.
I figli lo seguirono contenti. L’uomo si era lasciato convincere dalla moglie ad abbandonare i bambini, perché non aveva di che sfamarli. Giunti nel bosco: – Aspettatemi qui – disse. Poi si allontanò tristemente. Rimasti soli, Hansel e Gretel attesero il ritorno del babbo. Scese la notte e cominciarono ad avere paura; Hansel stringeva a sé la sorellina per consolarla. Quando capirono di essere stati abbandonati, si misero in cammino per tornare a casa. Giunsero davanti una casetta di zucchero.
Mentre affamati mangiavano un pezzetto di muro, apparve sulla porta una vecchina che li invitò ad entrare. Non sapendo che la vecchina era una strega che attirava i bambini per poi mangiarli, i piccini entrarono. Ma subito la vecchia imprigionò Hansel. Poi mandò Gretel in cucina, e la costrinse ad accudire a tutte le faccende di casa. La strega prima di mangiare il bambino voleva aspettare che fosse un po’ ingrassato, per questo lo faceva mangiare molto e lo teneva legato con una corta catena perché non si muovesse. Il giorno dell’esecuzione di Hansel arrivò, la vecchia fece preparare il forno a Gretel, appena fosse stato ben caldo il bambino ci sarebbe finito dentro. Gretel però, intanto, era riuscita ad aprire la catena del fratello, e quando la strega aprì lo sportello del forno per vedere se aveva raggiunto al temperatura giusta, i due fratellini la spinsero nel forno e si liberarono definitivamente di lei. La strega era ricca e i bambini s’impadronirono dei suoi tesori e felici tornarono a casa.
I protagonisti, Hansel e Gretel, sono bambini relativamente indifferenziati, sia dal punto di vista sessuale, sia dal punto di vista psichico, sono più vicini all’essere originario ermafrodita e percio? adatti a diventare simbolo del Sé, futura totalità interiore. Hansel e Gretel inoltre potrebbero non rappresentare solo un’età, una fase della vita, ma essere espressione degli elementi femminili e maschili, Animus e Anima, rappresentando i modelli della relazione umana, che scissi e immobilizzati nelle loro rispettive identità iniziali si apprestano a un viaggio che avrà come meta l’incontro e l’unione degli aspetti maschili-femminili. Oltre ai due protagonisti la storia si apre con altri due personaggi: i genitori. All’inizio è presente, dunque, una struttura quaternaria, un centro autoregolatore, una totalità unificante. Come all’inizio della vita è presente un Sé, centro psichico regolatore dell’intera personalità, in cui non vi è differenziazione, all’inizio della fiaba i quattro elementi appaiono rinchiusi in unico nucleo. L’apparente compattezza della struttura quaternaria iniziale comincia a disgregarsi e a prendere forma nella specificità di ogni suo aspetto quando si affaccia il problema della fame che apre il movimento delle parti.
La favola è percorsa dal grande tema della fame. In particolare Hansel e Gretel vivono la paura della fame, come timore di morte: la madre, che era stata nutrimento, li abbandona nel bosco. Una mamma è per un periodo nutrimento personificato per i bambini, provvede in tutto e per tutto a loro, dà il proprio latte.  Ma ad un certo punto si rende necessaria una separazione, non è più tempo di allattare e di essere fonte di ogni gratificazione, perciò sarà necessario che i bambini imparino sempre più a provvedere a sé stessi. Nella fiaba ciò è simboleggiato dai genitori che allontanano i figli da sé portandoli nel bosco a sperimentare il senso dell’abbandono rispetto al cibo-amore. I bambini inoltre sono soli nella notte, ovvero in una dimensione sconosciuta, ignota, densa di paure nella quale entrare in una foresta, passarci la notte, è come imbattersi nella caverna che ognuno porta in sè, affrontare e riconoscere la propria ombra. La coscienza non può nascere se non all’interno di un’inesauribile dialettica con la sua matrice inconscia, infatti, solo un confronto faticoso con i contenuti dell’inconscio e una conseguente sintesi di aspetti consci e inconsci può portare a una totalità.
Persi nel bosco, Hansel e Gretel, trovano la casetta di marzapane con il tetto di cioccolato dove tutto si configura come il nido, la totalità dell’amore mediata dai simboli rappresentati dai dolci. Qui i bambini sono trascinati da un’avidità incontrollata, regrediscono a un momento della vita basato sulle soddisfazioni primitive, mangiano la casa che potrebbe dare loro rifugio ma che in realtà cela l’inganno: la strega che attira i due bambini e li mette all’ingrasso per poi mangiarli. Questo atteggiamento ricorda quelle madri che ingrassano i figli sostituendo con il cibo l’amore vero e reale del quale queste creature avrebbero bisogno ma che esse non riescono a dare. La strega perciò potrebbe personificare gli aspetti distruttivi dell’oralità e della dipendenza materna rappresentando il lato oscuro della Grande Madre, l’aspetto divorante, il lato distruttivo del principio archetipo femminile.
Quando Hansel e Gretel cadono vittime dell’incontrollata oralità rischiano di essere distrutti. Come possono salvarsi? Uscendo dalla regressione infantile, separandosi dal mondo materno e progettando con intelligenza l’azione da intraprendere. Mostrandosi, cioè, più maturi. In parole più semplici: crescendo. Ed è proprio qui che la situazione si ribalta: i bambini gettano la strega nel forno. Quest’ultimo simbolicamente, in quanto luogo di trasformazione del cibo, rappresenta la dimensione corporea dello stomaco e dell’istinto della fame in cui cibo, sensazioni ed emozioni sono indissolubili e indistinte per i fanciulli. Con questo gesto essi si emancipano mettendo in atto quella separazione che gli permetterà l’individuazione. Avviene quindi una chiara metamorfosi in cui i bambini, rendendosi coscienti della propria esperienza di dolore riescono a trasformare una situazione negativa in una positiva, affrancandosi non solo da una madre cattiva che li vuole divorare ma anche rispetto al tema del cibo e della fame in quanto diventano proprietari della casetta di cioccolata e trovano un tesoro con il quale riescono a sfamare i genitori.
Le chiavi di lettura di questa fiaba possono essere molteplici, quella presentata ci mostra un percorso di abbandono, solitudine e riscatto ad un ritrovamento di quel tesoro che ognuno di noi porta dentro che chiamiamo Sé.

Bibliografia
C. G.Jung, “Gli archetipi e l’inconscio collettivo” in “Opere” , Vol. IX, Tomo primo. Ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2002
M.L. VonFranz, “Le fiabe del lieto fine”, Edizioni Red, Novara, 2004
M.L. VonFranz, “L’Animus e l’Anima nelle fiabe”, Edizioni Magi, Roma, 2009
M.L. VonFranz, “Le fiabe interpretate”, Ed.Bollati Boringhieri,Torino, 1980

Sitografia
www.grimmstories.com

Articolo della Drssa Monti Alessandra, psicoterapeuta ANEB