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I disturbi alimentari in una prospettiva ecobiopsicologica

10 ottobre 2019

I disturbi alimentari in una prospettiva ecobiopsicologica

Studiando l’anoressia nervosa grave, secondo il modello ecobiopsicologico, si è osservato che esiste una connessione inconscia fra la scelta del cibo, le problematiche emotive e i disturbi corporei, al punto che si può valutare il livello di gravità di queste pazienti a seconda della loro modalità di relazionarsi al cibo. Ciò significa che il loro rapporto con il cibo, non assume più il valore legato alle problematiche individuali del conflitto inconscio, ma si struttura, soprattutto, mettendo in evidenza la dimensione archetipica del cibo e del suo significato, cosi come si evidenzia dai miti e dalle tradizioni religiose. A conferma di ciò si è osservato che quando si affronta la complessa terapia di queste pazienti negli stadi più gravi della malattia, esse restringono a tal punto la loro alimentazione da fantasticare di vivere solo di acqua, luce solare e sali minerali (regressione vegetale). Inoltre, in molte di esse, vi è una regressione a fantasie primitive di participation mystique secondo le quali il cibo ha un'anima ("...Non mangio mai il pane dal cuore ma solo dalla crosta"), come anche di proiezioni distruttive ("...Non mangio mai la pasta perché nella mia pancia si scalda così tanto da trasformarsi in cenere..."): queste fantasie sono sovrapponibili a un'intelligenza biologica legata alla conoscenza calorica dei carboidrati, sono scoperte da queste pazienti intuitivamente dall'interno, piuttosto che consciamente e razionalmente. Quando poi inizia il processo di miglioramento della loro condizione, esse ripercorrono a grandi linee le tappe di evoluzione filogenetica, (l'alimentazione è prevalentemente vegetariana) prima con vegetali verdi, poi con i frutti, da ultimo con i semi (farina e riso); in seguito l'alimentazione si fa più proteica (prevalentemente piccoli pezzi di pesce o di formaggio), e da ultimo riescono ad assumere forme complete di un cibo (es., una sogliola, ecc.) a testimonianza della ricostruzione del loro mondo interno, e, infine, ma non sempre, la carne.
Al di là della necessità di esprimere nella loro condizione emotiva il rapporto drammatico con la figura genitoriale originaria (la madre), vissuta nell'inconscio come incapace di esprimere l'affetto se non legandolo al cibo, non vi è dubbio che nei momenti più regressivi tali pazienti ritornino a rivisitare, con le loro fantasie, uno stadio arcaico, archetipico, che i miti descrivono come appartenente alla Grande Madre, in cui ogni prodotto della natura assume un significato specifico non accessibile all'intelligenza razionale ma solo all’intelligenza simbolica, l’unica in grado di permetterci di scoprire la radice ontologica delle cose. Così i prodotti della natura per queste pazienti non saranno più una manifestazione della stessa riuniti nella classificazione astratta di “frutti” o nutrizionale di “cibo”, ma per ognuno di essi la conoscenza intuitiva ne evidenzierà le caratteristiche archetipiche e quelle corrispondenze cosmiche rintracciate solo nelle scienze tradizionali della natura. Ad esempio, il fico, come tutti i frutti contenenti semi, rappresenta l’abbondanza, la fecondità, ed è legato in molte culture alla procreazione e proprio nell’anoressia nervosa questo è un frutto che viene mangiato solo negli stadi di guarigione; il suo interno, che richiama la mucosa uterina, il “latte” che si presenta quando lo si stacca dalla pianta, ne fa un frutto troppo implicante sul piano inconscio e dunque di difficile assunzione negli stadi primari della malattia.
Così accade per il melograno, che quando si apre lascia uscire i semi come se fossero “bambini”. Il suo succo rosso rimanda al sangue e al potere di collegarsi alle forze inconsce del corpo, ma anche evoca il seno, con i suoi acini ghiandolari turgidi. La fragola e la ciliegia con la polpa rossa richiamano il femmi¬nile, la prima il capezzolo e la seconda il lobo dell’orecchio, ma nel caso della ciliegia la presenza del duro nocciolo interno fa riferimento anche al sacrificio del sangue e della carne per arrivare a scoprire il profondo dell’archetipo. La pera, per la sua forma richiama l’utero e assieme alla pesca è simbolo di fecondità, mentre l’albicocca rimanda al simbolismo dei genitali femminili e a essa è associata la bellezza della seduzione. Il pane poi si ricollega alle forze primarie della vita, terra e acqua, e contenendo in sé l’energia del “fuoco” viene in tutte le culture considerato come il cibo della trasforma-zione e della resurrezione.
Insomma, attraverso lo studio simbolico della scelta di questi ele¬menti possiamo riscoprirne il valore archetipico e avere così utili indizi per affacciarci alla comprensione delle emozioni nascoste. Attivando lo studio dell infrarosso e dell ultravioletto l’ecobiopsicologia permette alla psiche di entrare in risonanza con le immagini archetipiche e là dove la struttura debole dell’Io, come accade nella malattia, è sostituita dalla presenza delle associazioni simboliche, la conoscenza di queste immagini e la loro comprensione e integrazione nella psicoterapia possono permettere la trasformazione della malattia.


Tratto da: La Fisica dell’anima, Riflessioni Ecobiopsicologiche in psicoterapia  di D. Frigoli