Il posto delle fragole
di Costanza Ratti
“Nelle prime ore del mattino di domenica primo giugno feci un sogno strano insolito e molto sgradevole, sognai di essermi smarrito durante la mia consueta passeggiata mattutina in una zona sconosciuta della città, vagavo tra strade deserte e case in rovina…”
Così sogna il professor Isak Borg, medico stimato e rispettato, alla vigilia del suo giubileo professionale, nel celebre film di Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole”. Nella sequenza successiva il sognatore, dopo aver notato la presenza di un orologio senza lancette e aver fatto l’incontro di un uomo con tutti gli orifizi facciali sigillati, viene destato dal suono di campane a lutto e da uno scalpiccio di zoccoli. Da una via laterale fa la sua comparsa un carro nero trainato da due cavalli, il cui incedere lento, solenne e ritmato è però presto guastato dal suo sbattere maldestro contro un lampione. Nulla di più onirico. Il carro nel tentativo di proseguire la sua corsa intralciata da quella luce spenta lascia scivolare con un cigolio sinistro la bara che trasporta, lasciando il nostro sognatore atterrito. Guardando in quella bara infatti, egli scopre che il defunto è proprio lui.
Incubo o rivelazione? Da questa immagine onirica dotata di una limpidezza che non lascia scampo si snoda tutto il film, un roadmovie psicoanalitico, in cui il viaggio in macchina di Isak in compagnia della nuora Marianne diviene metafora del percorso interiore del protagonista e l’occasione per trasformare, in un crescendo di sofferenze disvelate e sentimenti rivivificati, quella fotografia (“E’ come se volessi dire a me stesso qualcosa che non voglio ascoltare da sveglio, che sono morto pur essendo vivo”) in un’indicazione a ritrovare il posto delle fragole, un luogo appartenente alla sua infanzia e a cui è legato il ricordo del suo primo amore, le sue radici.
Il capolavoro di Bergman, frutto del genio del regista che seppe rielaborare creativamente il clima familiare rigido e severo in cui crebbe, merita indubbiamente di essere visto e rivisto non solo per i richiami psicoanalitici di cui è piacevolmente intriso (e di cui non mancano le raffinate interpretazioni) ma soprattutto per lo svolgimento emotivo della trama, per il suo incedere lento e profondo, per l’intersecarsi delle generazioni alle prese con le relazioni, l’amore e la generatività e, in special modo, val la pena riguardarlo di questi tempi in cui la vita, nella sua variante meno condiscendente, è venuta a bussare alla nostra porta.
Già, perché il sogno iniziale di Isak è sì la dichiarazione di una parte vitale del protagonista che pare morta ma nel suo mostrarsi così nitidamente, in realtà, ha già superato la soglia della censura - direbbe Freud; ha già condensato in un’immagine ordinata e significativa (alfa) elementi sensoriali ed emotivi disordinati (beta) - direbbero i neofreudiani; ha già creato una connessione simbolica tra mondo emotivo, pensiero e immagine - potremo sintetizzare con l’ecobiopsicologia; ed è proprio quella nuda verità ciò che muove Isak alla risoluzione a muoversi per terra (in macchina), invece che in aereo (come il programma vorrebbe) per spostarsi da Stoccolma a Lund e a riscoprire così il posto delle fragole, il luogo in cui i frammenti d’amore di una vita si condensano, si assemblano a formare un’isola, una fonte, una stella, terra per le radici, e poi, nutrita, terra per i frutti.
Chi c’è nel posto delle fragole fantasticato da Bergmann? C’è Sara, il primo amore del protagonista, intenta a raccogliere delle fragole. E come poteva essere altrimenti? A quale altra esperienza vitale possiamo attingere se non a un femminile originario intento a raccogliere rossi e dolci frutti? Sara è per Isak un cuore pulsante di desiderio (un desiderio che il giovane Isak allora non sapeva nutrire e non fu ricambiato), cui fa da contrappunto un’altra figura femminile che viene poco dopo rievocata, la rigida e austera madre, intenta a impartire ordini e a far rispettare l’etichetta. Eccole le due facce del femminile, ecco i contrasti che albergano nell’anima del protagonista: emozioni proibite-emozioni fluide, dovere-desiderio, ragione-sentimento, solitudine-affetti, rigidità-abbondanza. La scoperta dell’una va di pari passo con il rinnovamento dell’altra di modo tale che è solo guardando nitidamente la prima che la seconda può sorgere nel cuore del protagonista ed evolvere. E infatti così accade, man mano che il viaggio procede in una rievocazione del passato continuamente trasformata nel presente attraverso incontri reali, la figura femminile riprende vita nel cuore del protagonista acquisendo funzioni interiori sempre più spiccate: così è la nuora Marianne con la sua sollecita determinazione a mettere il protagonista di fronte al suo gretto egoismo, è un’altra giovane Sara a cercare di mediare in lui tra scienza (Victor) e fede (Andersen), è una coppia di litigiosi marito e moglie a mostrare il mancato incontro tra maschile e femminile, ragione e sentimento, nell’animo del protagonista, ed è ancora Marianne a svelare una timida generatività che non è più disposta a negare e vuole esprimere con, e grazie, al suo uomo.
Il posto delle fragole del protagonista così non solo riprende vita ma si popola di nuove esperienze, si arricchisce di scambi mai sperimentati e dà vita a immagini emotive nuove, forse nemmeno mai vissute nell’infanzia da Isak. La scena finale con cui si chiude il film, infatti, è una fantasia serena, frutto dell’evolversi di quella giornata, ovvero Sara che nel posto delle fragole gli mostra ciò che forse da sempre sogna: i suoi genitori insieme, intenti ciascuno ai propri impegni, l’amore da cui ogni piacere vive e ogni vita nasce.
Che il 2020 ci abbia scosso, scandalizzato, spaventato e addolorato proprio come il sogno iniziale del nostro Isak è indubbio; che ci abbia smosso, pungolato, incoraggiato a guardare con altri occhi, che ci abbia fatto sentire insospettate mancanze, di corpi, di contatto, di natura forse è altrettanto vero e iniziamo a sentirlo.
Cosa augurarci allora per questo 2021 appena cominciato?
Lasciamoci ispirare da Bergman… di essere lucidi come Isak (sognare), di cercare il posto e riportarlo al cuore (ricordare), di dissodare il terreno (emozionarsi), di coltivarlo (fare esperienze), di bagnarlo (nutrirsi e godere di buone relazioni) e poi di aspettare...
E nel frattempo magari guardarsi qualche bel film!
Bibliografia
Bergman I., Il posto delle fragole (film), 1957.
Bergman I., Il posto delle fragole (Testo), traduzione di Zatti R., Iperborea, 2004.
Frigoli D., L’alchimia dell’anima. Dalla saggezza del corpo alla luce della coscienza. Edizioni Magi, Roma, 2017.