Il respiro sottile dello spirito
Nel processo di conoscenza di ciò che chiamiamo “mondo”, è necessario distinguere tra l’appercezione di esso tramite l’osservazione e la sensorialità della parola, dall’atteggiamento più completo e totale definito dagli antichi come “agnizione” (dal latino agnoscere, riconoscere).
Quest’ultimo termine rimanda a una facoltà dell’anima che trascende la pura ragione - il cui percorso si snoda, come ben sanno i semiologi, attraverso l’esercizio didattico delle regole dialettiche - per assurgere a una dimensione di intelletto, che secondo l’antico parlare degli scolastici è quella parte dello spirito capace di cogliere i principi supremi della vita.
Se con la ragione la psiche prende coscienza della realtà del mondo, con l’intelletto al contrario l’esperienza stessa della conoscenza si situa al centro dell’essere. Nel primo caso il linguaggio più o meno tecnico, struttura la rete inestricabile della propria verifica; nel secondo caso la parola cessa di esistere come tale ed emerge quell’attività della psiche definita intuizione, appoggiata sull’analogia e sul simbolo come esperienza estetica dell’equivalenza uomo-mondo.
Nel simbolo, la psiche dell’uomo viene agitata dalla multidimensionalità dei significati sottesi sino all’estremo limite della ramificazione dei concetti possibili, aprendosi, grazie allo scuotimento delle emozioni evocate, all’apertura dei suoni vaghi ma profondi, delle immagini indefinite ma esortanti a un movimento animico vegetante, dei pensieri fluttuanti ma aperti in modo consapevole all’onirismo.
Questa contemplazione dinamica offerta dal simbolo e dall’analogia determina così una sorta di “dolce scambio” fra le energie ancestrali del sognatore e quelle primarie del cosmo, facendo sì che l’esistente, appaia non più tratteggiato dalla ragione ma sfumato e diffusamente accennato da uno sguardo “assente”, libero dal noto e aperto all’ignoto.
In tale prospettiva intermedia della coscienza, che Bachelard definisce “aurorale”, le cose perdono il loro senso definito per assumere una dimensione tipologica immaginaria, ma non per questo meno reale e concreta del mondo dominato dai nostri sensi corporei.
Per udire «gli esseri dello spazio sterminato è necessario - ci ricorda l’Autore - far tacere i rumori della terra». Occorre cioè mettere tra parentesi tutta quanta l’erudizione scientifica e mitologica per far parlare il “genio” nascosto in ognuno di noi, affinché il suo linguaggio creatore sia tale da plasmare le immagini evocate secondo un gioco estetico più o meno artistico, capace comunque di generare quell’armonia mundi, riflesso soggettivo della contemplazione del cosmo.
Ecco perché in tale ottica simbolica, che pretende di indagare ciò che esiste secondo le valenze dell’immaginario, la psiche di colui che si cimenta nel compito della ricerca, deve prima interrogare se stessa su come rendere la ragione silenziosa e muta la parola, per far emergere nel centro di essa ciò che vuole divenire.
Il rapporto con gli elementi sottili
E questo compito si impone con più forza quanto più la ricerca è orientata all’evocazione delle immagini primordiali, sedimentate come nuclei archetipici nelle radici di un organo del corpo e nelle “fantasie” pensate dalle sue cellule. Ed eccoci al polmone, mantice ritmico del torace legato indissolubilmente al cuore e al sangue nel fornire al corpo la quantità di ossigeno sufficiente per essere distribuito nelle cellule. Se il cuore rimanda al tema del “centro” ritmico e pulsante e per analogia al ritmo cosmico, se il sangue corrisponde al veicolo “liquido” che assicura la vita, il polmone con l’aria si riferisce a una dimensione “sottile” della materia, non conosciuta se non come “sublimazione” delle forze telluriche del corpo terrestre.
In altre parole, occorre un certo sforzo d’immaginazione per poter vedere nell’elemento “terra” e dunque nel corpo che lo rappresenta con i suoi istinti, i suoi bisogni, le sue necessità concrete, l’aspetto primario di un progetto archetipico di creazione, destinato a rivelarsi negli altri elementi più sottili, quali l’“acqua”, l’“aria” e il “fuoco”.
Un mondo inafferrabile e mobile
Ancora di più bisogna sublimare la psiche per conoscere il “segreto” che permette all’elemento “terra” - statico e immoto nella sua rigidità atomica, vincolata a un reticolo cristallino preordinato nella sua struttura - di sperimentare quella mobilità liquida che conferisce all’elemento “acqua” la prerogativa di assumere la forma del contenitore in cui essa è racchiusa.
Se ci serviamo dell’analogia, per quanto riguarda l’uomo e la sua coscienza dovremmo ipotizzare una psiche capace di essersi sottratta all’ineluttabilità dei bisogni istintuali (la dimensione terrestre di essa), per assurgere a uno stato ideale di mobilità oltre le proprie prerogative egoiche, oltre le certezze di identità, oltre gli affetti personali, per esistere solo come “elemento” tangibile ma inafferrabile, mobile e adattabile a tutto ciò che può contenere.
Non posso afferrare l’acqua così come faccio con la terra, perché essa sfuggirebbe inesorabilmente dalle mie dita; per conoscerla devo sperimentare una nuova dimensione dell’anima, simboleggiata dalla “mano a coppa”, ovvero dalla mano aperta. A quel punto l’acqua riempie inesorabilmente il vuoto che ho provocato colmandolo di tanto quanto sono stato capace di determinarlo.
Forse in questo atteggiamento mentale si nasconde il segreto di molti mistici, che svuotando il loro “cuore” dell’esistenza personale dell’Io, creano un vuoto individuale colmato istantaneamente da una capacità “liquida” dell’anima, in grado di sperimentare un nuovo modo di esistere nel mondo: l’amore.
Ma se con la conoscenza della “liquidità” dell’acqua la psiche sperimenta la capacità assoluta di riempire ciò che è nuovo, rendendolo omogeneo a se stesso e di smussare ogni spigolo o asperità compensandolo con un atteggiamento opposto, attraverso l’elemento “aria” la psiche si fa addirittura volatile, imponderabile, senza più corpo.
Ispirazione e inspirazione
Se prima, nella “liquidità”, la vita psichica poteva svolgersi attraverso un subentrare di immagini morbide, aderenti al concetto rappresentato in modo limpido e argentino, tali da sviluppare di strofa in strofa un discorso sempre meno individuale perchè reso omogeneo al sentimento collettivo che genera, tanto da far dire al lettore che ciò che prova il poeta è ciò che ognuno di noi prova, con la dimensione “aerea” la psiche sperimenta la possibilità di trasformarsi in un vago e luminoso, che si pone oltre l’esperienza comune, assurgendo alla vita stessa dell’anima.
Lasciamo pure che i dotti e gli etimologi ci dicano con il determinismo delle loro ricerche che i termini “anima” e “anemos” richiamano il soffio primordiale della creazione divina, ma se vogliamo vivere in profondità il senso nascosto di ciò che esisteva dentro di noi quando giuravamo di amare con “tutta l’anima” e “fino all’ultimo respiro”, lasciamoci guidare dall’immaginazione di Bachelard là dove dice: «Se si pronuncia la parola “anima” in tutta la sua pienezza aerea, nello spirito della vita immaginaria, nel tempo necessario ad accordare la parola con il fiato, ci si renderà conto che essa assume il suo esatto valore sonoro solo alla fine del respiro. Per esprimere la parola “anima” dal profondo dell’immaginazione, il respiro deve esaurire tutta la sua riserva di fiato. È questa una delle rare parole che esauriscono un’espirazione. L’immaginazione essenzialmente aerea la porrà sempre alla fine della frase. Nella vita immaginaria del soffio la nostra anima è sempre il nostro ultimo sospiro. Un pezzo di anima che si ricongiunge, all’anima universale».
Stupende parole, che solo un filosofo-poeta poteva ricavare dalla propria ispirazione (o in-spirazione? Curioso gioco di parole o di più?) Ma allora se ciò che chiamiamo ispirazione, a ben guardare, è un’in-spirazione sottile, sorge immediata una domanda: che cosa è in-spirato e da quale polmone simbolico?
Serviamoci ancora di Bachelard e come ci consiglia prestiamo orecchio, un orecchio sognante, accordato a questa intuizione essenzialmente aerea, per ritrovare sul filo del soffio, prima ancora di averlo pensato, il senso riposto dal tema immaginario. In uno stato di ebbrezza sognante, tentiamo di dare corpo all’immaginazione aerea sino a renderla cosmica, per far parlare quella similitudine del suono oltre il valore di assonanza casuale, affinché il nucleo archetipico nascosto nelle parole “ispirazione” e “inspirazione” riveli l’esercizio respiratorio primario capace di esprimere una funzione della vita universale.
Il respiro cosmico di Brahama
Le parole “inspirazione” e “ispirazione” differiscono tra loro per la presenza interna della consonante “n”, quella che esprime la notte come la nascita, ovvero il passaggio della coscienza dal nero della germinazione alla luminosità della vita manifesta. Riferita all’atto respiratorio, se con l’inspirazione assorbo il cosmo aereo rendendolo per un attimo mio, con l’espirazione muoio alla vita individuale e rientro con l’aria espirata nel grande mare del tutto da cui sono provenuto.
Ogni respiro cosmico, infatti, come narrano i miti induisti, esprime una creazione del cosmo e un successivo riassorbimento ad opera di Brahama, secondo un ciclo che si svolge su ritmi millenari. Se il ritmo respiratorio umano è simbolo del grande ritmo cosmico perché accade in modo ciclico, totale, senza interruzione, all’interno di esso è possibile ritrovare un momento indefinito, puntuale, quasi impercettibile, in cui il movimento espansivo dell’inspirazione trapassa quasi istantaneamente nel moto concentrativo dell’espirazione. In un tale momento di passaggio delle fasi respiratorie, se la coscienza del meditante riuscisse a far proprio quell’attimo di trasformazione di ritmo, coglierebbe in modo consapevole l’esperienza della nascita del pensiero, delle idee, degli aspetti creativi del nostro essere.
Due poli si confrontano
Ovvero, facendo “riposare” la coscienza in meditazione sulla simbolica “n”, momento di passaggio dal nero uroborico dell’inconscio alla luce manifesta della coscienza ormai desta, assisteremmo nella nostra psiche al momento ispirativo, come aspetto microcosmico di un soffio sottile a valenza macrocosmica. Lo stesso accade quando nell’articolazione di queste parole, con la coscienza attenta ai movimenti necessari alla pronuncia di esse, ci accade di sorprendere che nel termine “inspirazione” la lingua si congiunge in modo impercettibile alla parte posteriore degli incisivi, costruendo un “ponte” energetico fra la materia “dura” di essi e quella più morbida, di carne, della lingua, mentre con la parola “ispirazione” la lingua rimane come sospesa nel vuoto, oscillante sulla “s” sibilante che fuoriesce dalle labbra ristrette e appena socchiuse.
Nella “inspirazione” vi deve essere un contatto tra due poli opposti, il “duro” dello smalto dentario e il “molle”, il “tenero” della carne, mentre nell’“ispirazione” ciò che va rintracciato nel vuoto della cavità boccale è il punto di mezzo, destinato a manifestarsi come “s” sibilante di un soffio ancestrale.
Il soffio creatore dell’inspirazione
Se ci rapportiamo a livello psicologico, quanto prima accennato diventa illuminante; nell’inspirazione mentale la psiche si alimenta di un contatto di poli opposti, la “materia” individuale “dura” con il “molle” e il “tenero” delle energie soprasensibili, in un accordo continuo destinato ad alimentare la psiche stessa, ma nell’ispirazione è la psiche che deve trovare il punto di mezzo, il centro del vuoto ancestrale per attingere al soffio creatore. Quando ciò accade, seppur casualmente, allora la psiche per un attimo partecipa alla vita della generazione cosmica, e vivendo quella realtà ispirativa si gonfia e si distende in un movimento sottile, che nel pensiero si manifesta come intuizione e nella parola come soffio alato di una poesia divenuta se stessa oltre ogni ragione retorica.
Articolo a cura del Dr. Diego Frigoli
Bibliografia:
Bachelard G., La psicoanalisi dell'aria, Red Edizioni, Milano 2007
Frigoli D. , Il linguaggio dell'anima, Magi edizioni, Milano 2016
Frigoli D., La fisica dell'anima. Riflessioni ecobiopsicologiche in psicoterapia, Paolo Emilio Persiani, Bologna, 2013
Frigoli D. L'alchimia dell'anima, Edizioni Magi, Milano 2017
Jung C.G., L'uomo e i suoi simboli, Tea edizioni, Milano 2007