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Il ruolo del padre nel disturbo bulimico

06 novembre 2019

Il ruolo del padre nel disturbo bulimico

Tratto da “Il corpo invaso: il ruolo del padre nel disturbo bulimico” di M. Breno e G: Cavallari
a cura della Dr.ssa Monti Alessandra, psicoterapeuta ANEB

 
Il disturbo bulimico ci offre la dimensione di una sofferenza di un essere umano imprigionato nel corpo e nella sua pulsionalità. Nella bulimia si perde il senso archetipico dell’alimentazione profondamente legato alla trasformazione, e il sintomo cortocircuita in un eterno mangiare e vomitare, impedendo che parti del mondo entrino e trasformino la propria individualità nella relazione con esso. La letteratura parla in modo diffuso delle difficoltà che ha la bulimica a stabilire sane relazioni, a causa della sua impossibilità a introiettare la prima relazione fondamentale, quella con la madre.
Sicuramente una madre non sufficientemente buona crea dei disturbi nel Sè corporeo della figlia e nella sua identità, tuttavia nell’esperienza clinica ci si accorge anche dell’importanza della figura del padre, che agendo in modo patologico su questo terreno già fragile imprigiona la figlia nel disturbo bulimico impedendogli l’accesso alla dimensione relazionale sana e alla propria progettualità. La crescita emotiva e spirituale della donna è influenzata dal suo rapporto con il padre. Egli è infatti la prima figura maschile che incontra nella sua vita, è diverso da lei e dalla madre ed essendo “altro”, dà forma al suo essere diversa, alla sua unicità e individualità. Il modo in cui il padre si mette in rapporto con il femminile della figlia influenzerà il modo in cui lei diventerà una donna adulta. Uno dei ruoli del padre è guidare la figlia dal protetto regno materno e dalla famiglia verso il mondo esterno, aiutandola ad affrontare la vita e i suoi conflitti. Rappresenta un modello per l’autorità, la responsabilità, l’assunzione di decisioni, l’oggettività, l’ordine e la disciplina.
In generale oggi nella società ad impronta materna, in cui è predominante la figura della madre e marginale quella del padre, viene a mancare per la donna quello sguardo forte e amoroso del paterno, dell’adulto che, dalla sua posizione di diversità, l’apprezza e le fornisce un indispensabile pilastro alla sua autostima. Tutta la psicologia clinica dimostra come quest’aspetto, attribuito appunto ad una scarsa autostima, può manifestarsi in comportamenti rinunciatari o autolesionisti o con una competitività esasperata, attraverso la quale la donna cerca di mascherare la propria insicurezza, sostituendo all’approvazione personale del padre, quella, impersonale, della società, dell’azienda, del gruppo politico e cosi via. Anche quando il successo e riconoscimento pubblico arriva, non riesce tuttavia a sostituire la tranquilla sicurezza data da un positivo rapporto con il padre. La donna paga cosi questa fragilità psicologica, mascherata dalle forti ambizioni, con patologie gravi come per esempio disturbi del comportamento alimentare.
In particolare la sofferenza delle bulimiche, espressa nella coazione a vomitare, è legata alla sensazione di non poter guidare le proprie azioni e la propria vita, non riuscendo ad accedere alla dimensione del desiderio. Il vomito perciò diventa il solo modo di comunicare, quale forma protosimbolica che dichiara l’impossibilità di avvicinarsi alla dimensione del verbale. All’interno del sintomo del mangiare e vomitare, infatti, è insita anche un’espulsione di ciò che è sentito troppo terrifico da assimilare. La clinica inoltre ci evidenzia come ad una madre incapace di sintonizzarsi sui bisogni della figlia, si sovrapponga, in alcuni casi, la dimensione erotizzante del rapporto con il padre. Il corpo di queste pazienti viene precocemente enfatizzato o negato nella sua realtà fisica, e idealizzato, negandogli la possibilità di sviluppare la dimensione simbolica. Quest’ultima, che si trova tra il reale e l’ideale (o l’immaginario), è quella che poi permette non solo di tradurre in parole e coscienza i propri vissuti, ma è anche quella che rende possibile la costruzione della propria identità presente e di progettare quella futura.
Infatti in una dimensione sana, il padre si inserisce nell’aspetto corporeo della relazione madre-bambino, mediato dall’aspetto alimentare e dalla concretezza corporea, e tramite la dimensione della parola e del simbolico, apre la via ad una erotizzazione fantasticata. Il padre apre, cioè, il registro della seduzione fantasticata che permette alla figlia di uscire dal territorio “materiale” del rapporto con la madre e di costruire le basi mentali ed affettive per le relazioni future con il maschile e per la sua progettualità. Quando però il corpo viene invaso tramite una precoce erotizzazione fisica, oppure attraverso un’idealizzazione fantasmatica, la figlia resta comunque intrappolata in un legame che la nega come individuo nella sua interezza, psicologica e somatica.

Bibliografia
- Breno M., Cavallari G.; “Il corpo invaso: il ruolo del padre nel disturbo bulimico”, in Frigoli D. (a cura di), Psicosomatica e Simbolo: saggi di ecobiopsicologia; Armando Editore, 2010
-  Bruch H., Patologia del comportamento alimentare, Feltrinelli, Milano, 2000
-  Frigoli D., Il linguaggio dell’anima, Edizioni Magi, Roma; 2016
-  Frigoli D., La fisica dell’anima, Paolo Emilio Persiani Editore, Bologna; 2013
-  Miller A., Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sè, Bollati Boringhieri, Torino, 1996
-  Monti A., La perdita del padre come introduzione al percorso di individuazione: un’analisi ecobiopsicologica, Tesina Scuola di Specializzazione ANEB, Relatore R. Toson, 2014
-  Zoja L., Il Gesto di Ettore, Milano Corriere della Sera, 2012