Le vacanze mi fanno venire il mal di testa
a cura di M. Ortuso*
Al giorno d'oggi tutti ci lamentiamo di ritmi lavorativi serrati e pressanti, attendiamo trepidamente il weekend o lo stacco delle vacanze estive e quando finalmente il tempo dello svago e del riposo sopraggiunge porta con sè un ospite indesiderato: il mal di testa. Oltre che intervenire all'occorenza sul fastidioso sintomo, la strategia migliore è sempre la prevenzione; secondo una prospettiva ecobiopsicologica essa deve riguardare necessariamente non solo il nostro corpo ma anche la nostra psiche, perchè ogni essere umano è un'unità psicosomatica indivisibile. Noi lo chiamiamo mal di testa, ma in realtà ne esistono tanti tipi differenti. Il dolore può essere diffuso o circoscritto, pulsante o trafittivo e può interessare aree del capo differenti (frontale, laterale o occipitale); a volte può insorgere come effetto di altre condizioni vigenti (ad esempio formazioni neoplastiche, lo stato della fame o della disidratazione) oppure può essere primario, non collegabile ad altri fattori.
Le cefalee primarie o essenziali più comuni sono:
• l'emicrania, la più diffusa e che interessa il 34% delle persone; è legata a fattori di tipo vascolare ed è composta da due fasi: quella connessa alla vasocostrizione dei vasi meningei, generatrice dei sintomi premonitori quali aura, ronzii, senso di vertigine, ipersensibilità e insofferenza ai suoni; ad essa segue la vasodilatazione, causa della vera e propria crisi dolorosa. Durante un attacco di emicrania, la persona può lamentare anche sintomi secondari come nausea, vomito o fotofobia.
• la cefalea muscolo tensiva, il cosiddetto cerchio o morsa alla testa, in cui la persona sente una forte compressione del capo dovuta alla tensione dei muscoli del collo, del volto e del cuio capelluto. Il dolore è diffuso e costante e interessa la zona occipitale e bi-temporale
• la cefalea a grappolo, in cui il dolore generalmente mono-laterale è molto intenso e localizzato nella zona orbitale e dello zigomo, a volte accompagnato da lacrimazione ed edema alla palpebra, congestione nasale e fotofobia.
Nonostante la diversità della sintomatologia, l'elemento comune ad ogni cefalea è l'effetto pietrificante che ha per la persona, la quale a causa del sintomo è costretta ad evitare il contatto con gli altri, ad astenersi da ogni attività. Il risultato della cefalea saranno l'isolamento, la chiusura, il silenzio e il bisogno di stare immobili e al buio. Secondo la psicosomatica classica, quando compare un sintomo corporeo abbiamo lo spostamento di un conflitto psichico; nel caso del mal di testa il conflitto sembra riguardare i temi del movimento, della vitalità e del piacere rispetto all'inerzia e alla passività. Avendo questo riferimento, possiamo ipotizzare che le cefalee da weekend o da vacanza scatenino un conflitto nel soggetto, spostato poi su un distretto corporeo: quali fantasmi paventa il tempo libero di una vacanza? Quale rapporto ha il soggetto con i propri desideri e pulsioni, con il principio di piacere, con quel "carpe diem" inseguito dai più nei momenti di libertà dalla routine? Perchè risponde con la testa, che è il nucleo centrale di coordinamento e pianificazione? Proviamo ad approfondire questo pensiero seguendo ora la logica dell'ecobiopsicologia. Di fronte alle somatizzazioni non solo dobbiamo andare alla ricerca dei conflitti psichici spostati e dei meccanismi di difesa usati, ma dobbiamo imparare a sintonizzarci sui modelli operativi interni della persona. L'obiettivo della psicoterapia ecobiopsicologica non è solo la ricerca delle cause, ma soprattutto l'indagine dei processi, così da poter costruire nella stanza di analisi un'esprienza emotiva alternativa, la quale permetta al soggetto l'interiorizzazione di alternativi modelli operativi per la costruzione di una vita relazionale più ricca e vitale. Nell'ecobiopsicologia il sintomo corporeo ha una natura simbolica, perciò un'emicrania racconta qualcosa, una cefalea muscolo-tensiva narra altro. In quest'ultima la somatizzazione è a carico della dimensione muscolare, mentre nell'emicrania è coinvolto il sistema dei vasi sanguigni: nel modello ecobiopsicologico il rapporto parete sanguigna - sangue è rappresentativo di altri rapporti, ovvero di quello tra pulsioni e meccanismi di difesa, tra emozioni e modelli operativi. In un certo senso la dimensione muscolare è più superficiale rispetto a quella sanguigna, pertanto potrebbe raccontare una conflittualità meno forte o, per dirlo in termini psicoanalitici, sottoposta a rimozioni più prossime alla coscienza; al contrario il coinvolgimento della dimensione del sangue ci fa ipotizzare un'affettività più potente, più arcaica e sentita come più pericolosa, meno simbolizzabile per la psiche, più chiusa nelle attivazioni del sistema limbico e non connessa alle aree neocorticali. Il cefalgico racconta una difficoltà di rapporto con il proprio mondo emotivo, con un sovra investimento della dimensione cognitiva, ovvero della testa, la quale dovrebbe essere il distretto corporeo pianificatore e costruttore di vie e progetti orientati, ma che qui finisce per costruire dighe fallimentari contro fiumi in piena e labirinti senza uscita, rimuginii sterili. La persona tende a mettere in atto un controllo ossessivo rispetto ai propri vissuti; ma di quali vissuti stiamo parlando? Proviamo a fare ipotesi ripensando alle caratteristiche del sintomo: le cefalee portano la persona alla chiusura, all'evitamento, all'inerzia, talvolta alla lacrimazione e alla comparsa di nausea e vomito. Nel piano sottile della psiche la dimensione in cui la persona piange, si chiude in un aspetto di astensione, evitamento e di sospensione è quella della depressione. Un soggetto che soffre di cefalgie potrebbe raccontare con il proprio corpo una tratto depressivo, di frustrazione dei propri bisogni di accudimento, di dipendenza e di nutrimento (soprattutto quando viene coinvolto anche l'apparato digerente con la generazione di sensazioni di nausea e vomito), un vissuto di precoce investimento delle proprie risorse cognitive e della dimensione del logos, di richieste arcaiche di adultizzazione precoce e di un rapporto con figure primarie che a loro volta faticavano con il mondo delle emozioni e hanno trasmesso questa tendenza al loro evitamento.
Il tempo della vacanza è quello dove si dovrebbe entrare in una dimensione di vuoto creativo, ma un soggetto che nella sua storia di vita non ha potuto essere sostenuto nel confronto con i propri bisogni, con la propria istintualità, vivrà quello spazio-tempo come un ritorno a quel vuoto fonte di solitudine, di angoscia e di rabbia. Il rallentamento dei ritmi potrà essere vissuto come quell'ombra mortifera che ci avvolge e dalla quale si tenta di scappare attivando la parte cerebrale, il rimuginio che finisce in cortocircuito. Durante il tempo libero, la persona, spesso molto attiva, si confronta con la passività, con il lasciarsi andare, attivando quei modelli operativi interni distonici che però le avevano garantito una sopravvivenza. Come intervenire? Ancora una volta ci vengono in aiuto gli insegnamenti dei miti. Se pensiamo alla dimensione della pietrificazione dei mal di testa il primo mito che ci viene alla mente è quello di Perseo e Medusa. Medusa, figlia di divintà marine, aveva l'aspetto di una seduttiva fanciulla, e a causa della sua bellezza fu presa con la forza dal dio del mare Poseidone all'interno del tempio di Atena. La dea, offesa dalla profanazione del proprio tempio, punisce Medusa trasformandola in una sorta di mostro, dalla testa anguicrinita e dallo sguardo pietrificante. Perseo, giovane eroe greco, riuscirà a sconfiggerla solo grazie all'uso di uno scudo riflettente, riuscendone ad evitare la visione diretta e la pietrificazione, ma potendone conoscere la posizione, così da sferrare contro di lei un colpo decisivo. I terapeuti ecobiopsicologici dovrebbero essere quello scudo per l'Io del paziente, che vive come un fuoco, troppo grande e pertanto ustionante, il confronto con la propria parte inconscia ed erotica, ovvero dominata dall'energia archetipica di eros. Come non esiste una testa slegata da un corpo, così non può esistere una coscienza separata dal mondo inconscio, il logos separato dall'energia di eros diventa pietra, perde vita, diventa mal di testa. La cura alla pietrificazione del sovrainvestimento della dimensione cognitiva è la ricucitura con la dimensione più sottile e leggera dell'anima; parafrasando Kundera potremmo dire che il cefalgico vive la leggerenza dell'anima, dell'essere, l'apparente non logicità delle emozioni, come insostenibile, travisando tale leggedria per volubilità, superficialità, fragilità. Questo probabilmente perchè nella sua storia il mondo emotivo è stato vissuto come imprevedibile, come non digeribile, da lì la necessità di isolarsene o di rifiutarlo. Se ripensiamo sempre al mito di Medusa, sappiamo che dalla sua testa mozzata nasce Pegaso, il cavallo alato, destriero di Perseo e lo stesso eroe nel suo viaggio si era servito di un altro mezzo alato per spostarsi: i calzari di Hermes. Sappiamo che il mito è una narrazione simbolica e in questo si evidenzia come il tema della pietra, della pesantezza debba essere affrontato servendosi della qualità ermetiche; sappiamo che il dio Hermes era il messaggero degli dei, sapeva muoversi velocemente volando. Il terapeuta ecobiopsicologico deve essere in grado di diventare colui che, "volando" tra esse, mette in comunicazione le parti che il paziente aveva separato dentro di sè, generando una sorta di processo alchemico nel mondo emotivo del soggetto. Come ricorda sempre il dottor Frigoli, il terapeuta ecobiopsicologico ha familiarità con il mondo delle immagini, delle metafore e dei simboli ed è grazie ad questi che può immettere affettività nelle parole pietrificate e pietrificanti del cefalgico, facendo nascere in quella irriducibile impotenza del pensiero un colorato senso del possibile.
Bibliografia:
Cavallari G., Frigoli D., Tortorici E. , Appunti dai convegni monografici di medicina psicosomatica,
Calvino I., Lezioni americane, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2016
Frigoli D., Il linguaggio dell'anima, Edizioni Magi, Roma 2016
Pusceddu, Il corpo racconta, Emilio Persiani Editore, Bologna, 2013
*Dott.ssa Mara Ortuso, psicologo, psicoterapeuta