Musicoterapia, le note che aiutano
Secondo la World Federation of Music Therapy, è possibile definire la musicoterapia come “l’uso professionale della musica e dei suoi elementi da parte di un musicoterapeuta qualificato con individui, gruppi, famiglie o comunità che cercano di migliorare la loro qualità di vita e la loro condizione fisica, sociale, comunicativa, emotiva, intellettiva e spirituale”.
A parlarcene è Giulia Merli, psicologa clinica e musicista che ha basato fin da subito la propria formazione sull’idea platonica che “non bisogna cercare di guarire il corpo, senza cercare di guarire l’anima”. Sono proprio le potenzialità che caratterizzano il linguaggio psicologico e quello musicale ad averla portata, tre anni fa, a decidere di unire i “suoni di parole” con i “suoni musicali” per creare quel connubio perfetto che prende il nome di musicoterapia.
In quali campi può essere applicata la musicoterapia?
«La musicoterapia ha molti ambiti di applicazione. Si parla infatti di interventi finalizzati, ad esempio, ad accompagnare le donne in gravidanza con il fine di promuovere la sintonizzazione affettiva con il nascituro, di progetti creati nei reparti di terapia intensiva neonatale per facilitare l’interazione madre-bambino, piuttosto che del concetto di musicoterapia applicato all’ambito scolastico con finalità educative e di promozione del benessere. La musica è un linguaggio che può essere usato anche con pazienti psichiatrici, oncologici o con malattie rare, o per creare nuovi modi di comunicare con persone affette da disturbi dello spettro autistico, in stati vegetativi e di minima coscienza o in condizione di post-ictus. La musica può diventare, se ben impiegata, uno strumento ottimale per avvicinarsi inoltre al mondo adolescenziale, a quello penitenziario e alle persone anziane. Non da ultimo, la musicoterapia può essere usata per creare rilassamento, diventando così una coccola per la propria anima e il proprio corpo e uno spazio dove entrare in ascolto con sé stessi».
Tu hai lavorato molto a contatto con la demenza. In che modo hai utilizzato la musicoterapia?
«Lavorare con la demenza significa relazionarsi con persone che hanno tanto da raccontarti, talvolta narrandoti lunghe storie del loro passato, qualche volta solo con uno sguardo ricco di significati nascosti, con un battito su un tamburello a sonagli o con la voce bassa o squillante mentre rievocano i canti della loro gioventù. Però significa anche lavorare con i silenzi, i sensi di smarrimento, le amnesie e le ansie. Con gli ospiti della struttura generalmente il lavoro di musicoterapia è a gruppi e viene impostato usando sia una modalità attiva che recettiva. Con la prima si forniscono alle persone degli strumenti musicali facilmente utilizzabili anche da chi ha problemi fisici e si lavora per creare un dialogo sonoro-musicale comune basato su ritmi condivisi, sull’ascolto attento del gesto proprio e altrui e sulla possibilità di modulare il proprio vissuto emotivo. Con la metodologia della musicoterapia recettiva si chiede invece agli ospiti di ascoltare dei brani musicali, il più delle volte concordati con loro, al fine di condividere ricordi del passato, di creare uno spazio di riflessione e di coccola per la propria integrità mente/corpo. Amo lavorare con gli anziani affetti da demenza perché con la produzione e l’ascolto del materiale musicale sembra quasi vengano catapultati in un altro mondo, talvolta fatto di momenti di lucidità o di profondi vissuti emotivi, di forti sintonizzazioni e di reciproca empatia».
Quale ricordo del tuo lavoro porterai per sempre con te?
«Ho avuto modo di lavorare con il binomio musica e fine vita. In questo caso, molte volte, le parole non sono in grado di esprimere tutto ciò che si vorrebbe dire a se stessi e agli altri e dove la parola smette di “risuonare” la musica interviene dando vita alle proprie parole e sostanza alle proprie emozioni. Tra i vari pazienti incontrati, ne ricorderò sempre uno deceduto circa un mese dopo il nostro primo incontro. Era straniero, aveva una forte nostalgia della sua terra che non riusciva ad esplicitare del tutto a livello verbale e, soprattutto, aveva un mondo emotivo che faticava, a parole, a portare alla luce. Un giorno chiese di poter ascoltare un brano specifico, diverso dai soliti più legati alla sua tradizione culturale. Ancora oggi penso che con quelle note e quel testo lui ci stesse parlando “silenziosamente”, ci stesse dicendo di essere pronto a volare verso la sua libertà, la sua terra».
A chi ci si può rivolgere a Torino se si vuole studiare musicoterapia o se si vuole assumere un musicoterapeuta?
«A Torino si può fare riferimento all’Associazione Professionale Italiana Musicoterapisti (Apim), sia per la possibilità di richiedere il contatto di musicoterapeuti del territorio con i quali iniziare un percorso individuale, sia per attivare collaborazioni interprofessionali o per informarsi sul percorso di studio da intraprendere in questo ambito. L’Apim organizza infatti ogni anno, proprio a Torino, un corso triennale di formazione che trova la sua sede presso il Sermig – Arsenale della Pace, dove io stessa ho studiato».
Tratto da: http://www.digi.to.it/?p=37913