Quel limite che crea...
a cura di Costanza Ratti, psicoterapeuta ANEB
“E’ il vento. Non lo vedi né lo senti sinché non trova un ostacolo, come tutte le cose che ci sono sempre state. Persino il mare sembra senza limiti, eppure canta solo quando li trova: infrangendosi sulla chiglia diventa schiuma; spezzandosi sugli scogli, vapore; sfinendosi sulle spiagge, risacca. La bellezza nasce dai limiti, sempre” (D’Avenia A., 2011, p.11). Così scrive Alessandro D’Avenia, scrittore e editorialista sul corriere della sera, nel suo secondo romanzo, Cose che nessuno sa.
Di recente, però, mi è capitato di sperimentare l’effetto benefico del limite in situazioni che belle, apparentemente, non sono. Mi sono trovata coinvolta in una accesa discussione con un amico su quale fosse il modo migliore di reagire a un problema sul lavoro. Con mio stupore, perché in genere prediligo la diplomazia, ho tenuto la mia posizione fino alla fine, e così ha fatto lui. In breve, non ci siamo compresi e ne è nata una lite, in cui ognuno ha marcato nettamente il proprio territorio con le sue credenze, emozioni, opinioni, affetti.
Per quanto la vicenda lì per lì non sia stata piacevole, dopo qualche tempo ne ho ricevuto degli effetti benefici insperati e inaspettati. Qualcosa in quell’esperienza aveva il sapore della lotta genuina, dello scontro fiero in cui nessuno dei due aveva ceduto ma soprattutto non si era risparmiato o aveva negato il suo vissuto per compiacere o proteggere l’altro. Dopo un po’ mi resi conto che solo in virtù del fatto che nessuno dei due era arretrato, ma aveva affermato sé stesso, io potevo rendermi conto di ciò che avevo forzato, sbagliato, esagerato in quella comunicazione e forse il mio compagno di duello poteva fare altrettanto.
In effetti, dopo un po’ di tempo, così avvenne, per entrambi.
Se il mio amico, per evitare il conflitto, mi avesse dato ragione, probabilmente ne sarei stata inizialmente soddisfatta, ma implicitamente avrei sentito che la sicurezza che ne traevo era simile a quella di un guerriero di fronte alla resa del suo avversario, molto poca. Se invece per diplomazia fossi stata io a cedere terreno, probabilmente non mi sarei sentita del tutto me stessa e in ogni caso quella relazione, alla lunga, ne avrebbe risentito.
Intendiamoci, non penso che non si debba usare diplomazia, accomodamento, comprensione con gli altri - doti preziosissime - ma talvolta, tenere la propria posizione lasciandosi successivamente la possibilità di riflettere e di comprendere può essere un incontro stimolante con il limite fornito dall’altro, e offerto all’altro. In questo caso come scrive D’Avenia, la convinzione di entrambi senza cedimenti aveva avuto l’effetto dello scoglio sul mare, produrre suono e schiuma, un io, un tu. Come scrive Thomas Mann a proposito della scultura, “il blocco non parteggia per lo scultore, è contro di lui”. È la resistenza tra i due contendenti che crea l’opera d’arte.
Nella psicoanalisi delle acque, Bachelard, tra i vari simbolismi dell’acqua, ne individua uno che ha che fare con il piacere di sentire sé stessi e la propria forza attraverso l’urto contro l’acqua impetuosa. In questa lotta, rappresentata dall’immagine del bambino che gioca contro le onde, c’è la ricerca di una resistenza, una pressione sul corpo che offra la sensazione cinestesica del confine.
Qualcosa di simile, con un corredo sensoriale più vasto, deve sperimentare anche il bambino alla nascita.
Finché è avvolto nel liquido amniotico, il bambino è contenuto e abbracciato dalle pareti dell’utero e la sensazione principale è quella di una carezza che contiene e plasma, ma più il bambino cresce, più lo spazio intorno a lui diminuisce e le pareti che lo avevano accolto diventeranno, attraverso le contrazioni uterine, quel limite fisico che, fornendo una potente stimolazione sulla pelle e sul suo organismo, lo spingeranno fuori dall’utero e lo faranno nascere.
Nell’esperienza cinestesica prenatale si condensa dunque quel connubio tra dolcezza, carezza, contenimento - movimento, resistenza, spinta che sono la cifra sensoriale della relazione e della formazione dell’identità: Chi sei tu? Chi sono io?
Non basterebbero centinaia di libri per descrivere le complesse dinamiche relazionali che, a partire da queste due semplici domande, possono crearsi nel corso di una vita, ma qualcosa di ciò che può riattualizzarsi in psicoterapia è ben descritto dalla psicoanalista svizzera Danielle Quinodoz nel suo testo Le parole che toccano: «All’inizio della sua analisi Laure pensava, come molti altri pazienti che un genitore che abbandona è cattivo e che un genitore che adotta è buono. Aveva poi scoperto che un movimento di adozione preso isolatamente può presentare dei pericoli, così come un movimento di abbandono preso isolatamente; perché un’adozione esclusiva può essere soffocante e la possibilità di una presa di distanza si mostra indispensabile per rendere costruttivo un movimento di adozione. I due aspetti abbandono e adozione hanno ciascuno degli elementi positivi nella misura in cui sono complementari. Ecco perché il paziente ha bisogno di sentire che l’analista accetta nel transfert sia il ruolo dei genitori che abbandonano sia quello dei genitori che adottano: per identificazione introiettiva con l’analista, il paziente può allora superare l’apparente incompatibilità di questi due ruoli e sentire che il ruolo dei genitori è dato dalla sintesi dei due aspetti abbandonico e adottante. Dal momento che la sintesi supera la somma dei suoi componenti, non vi è più ne abbandono né adozione, ma la creazione di una relazione di libertà, fatta di distanza e intimità, che permette a ciascuno di essere molto vicino all’altro pur conservando la propria indipendenza» (p. 91).
Ecco, quest’ultima frase descrive forse quell’istante di stupore in cui, come bambini alla nascita, scopriamo che il moto energico che segue all’abbraccio dell’utero, può diventare, con travaglio, fonte di libertà e di vicinanza al tempo stesso, ciò che ci rende unici insieme agli altri.
È vero, la discussione con il mio amico non è stata piacevole, è stata anche faticosa e sfidante ma in quello scontro, ho potuto assaporare il contatto del corpo a corpo e allo stesso tempo la presenza di un io e un altro che r-esistono e co-esistono… può questa relazione, alla lunga e nonostante le difficoltà, essere fonte di bellezza?
Bibliografia
D’Avenia A. (2011), Cose che nessuno sa, Mondadori, Milano.
Breno M. (2020), “Il senso della trasformazione nel dolore” in L’armonia nel dolore, Vivarium, Milano.
Bachelard G. (1942), Psicanalisi delle acque, Edizioni RED, Milano, 2006.
Thomas Mann (1947), La legge: racconto, traduzione di Mario Merlini, Mondadori, Milano.
Quinodoz D. (2009), Le parole che toccano, Borla, Roma.