Puoi volare, farfalla
Marion Woodman
a cura di Dr.ssa Sonia Colombo*
Analista junghiana, fra le prime a spiegare in termini psicanalitici i disturbi alimentari della bulimia e dell’anoressia, Marion Woodman prende per mano il lettore conducendolo all’interno dell’opera in un viaggio esplorativo in cui, partendo dal constatare come la cultura e la civiltà attuale abbiano imprigionato in un “guscio” i valori archetipici del femminile portando la donna a vissuti di dipendenza sacrificati in nome delle proprie e altrui aspettative, giunge a far comprendere, attraverso numerose riflessioni e una ricca narrazione, le tappe necessarie per poter rompere il guscio stesso grazie ad una approfondita analisi e ad un lento e paziente processo di trasformazione.
Introducendo magistralmente la metafora della crisalide, attraverso la narrazione di uno dei suoi ricordi d’infanzia, Marion Woodman racconta nelle prime pagine del volume come «Un giorno fumavo la mia pipetta di granoturco e aiutavo mio padre in giardino... scoprii una specie di protuberanza attaccata a un ramo, e papà mi spiegò che Catherine Caterpillar (caterpillar in inglese significa “bruco”) si era preparata una crisalide. L’avremmo portata dentro casa e fissata con degli spilli su una tenda della cucina. E un giorno da quella protuberanza sarebbe nata una farfalla. Bene, avevo visto cose magiche nel giardino di mio padre, ma questo oltrepassava persino la mia fantasia. Tuttavia attaccammo con cura dei grossi spilli attraverso la tenda, e ogni mattina afferravo la mia bambola e la mia pipa e correvo giù a mostrar loro la farfalla. Ma non c’era nessuna farfalla! Mio padre diceva che dovevo aver pazienza, che la crisalide sembrava soltanto morta e che dentro di essa stavano avvenendo straordinari cambiamenti. La vita di un bruco era molto diversa da quella di una farfalla» (pag. 22). Scoprendo così come dal bruco fosse possibile, grazie a molta pazienza e superando una certa iniziale ritrosia, fare esperienza di una farfalla scintillante che lasciava la sua vuota crisalide prendendo il volo, anni dopo la Woodman si troverà a spiegare nel volume come, subito dopo aver lasciato la crisalide, le farfalle scarichino una goccia di escrementi accumulati durante la trasformazione, spesso di colore rosso. L’immagine che regala già nelle prime evocative riflessioni rappresenta in maniera simbolica il sacrificio necessario a lasciare andare il passato e a rivolgersi al futuro liberando la propria farfalla. È infatti spesso proprio la zona di passaggio fra passato e futuro a rappresentare l’incertezza e la precarietà del vissuto di trasformazione. Accettare la crisalide significa infatti, svela con profondità l’analista, accettare il paradosso della vita e della morte: «La nascita è la morte della vita che abbiamo conosciuto; la morte è la nascita della vita che abbiamo ancora da vivere» (pag. 25).
Chiarendo come l’allontanamento dalle società primitive abbia inevitabilmente posto molte più distanze dai cicli naturali (e di conseguenza anche dallo schema ciclico di Morte e Rinascita) e sottolineando come l’ assenza di contenitori rituali in grado di dare significato alla vita, affermando e rinnovando il legame con gli aspetti archetipici della stessa, la Woodman mette così in evidenza come nei tempi moderni si finisca per essere maggiormente minacciabili dal caos e come, privi della funzione del collegamento che il rito forniva fra umano e divino, si possa più facilmente giungere ad immedesimarsi con gli archetipi o a lasciarsi inflazionare dal potere dell’inconscio: «Se stiamo vivendo ciecamente un archetipo, non conteniamo la nostra vita. Siamo posseduti, e la possessione agisce come una calamita sulle persone inconsapevoli. La vita quotidiana diventa un mondo pericoloso dove l’illusione e la realtà possono essere fatalmente confuse».
Ed è così che il percorso d’analisi può favorire la costruzione del “bozzolo” e il paziente ma necessario permanere in esso. Come infatti scrive l’analista: «non ci si rende conto completamente che, quando i bruchi si chiudono nel bozzolo, non ne riemergono più come bruchi, anche se di classe elevata, e quindi possono non essere preparati all’agonia della trasformazione che ha luogo all’interno della crisalide. Né sono del tutto preparati a quella bellezza alata che lentamente e dolorosamente emerge, e che vive secondo un insieme di leggi differenti da quelle di un bruco» (pag. 34). Attendere una crisalide silenziosa non è infatti cosa semplice, ciononostante il permanere in essa diviene essenziale per potersi profondamente trasformare. Persino quando si è giunti ad essere farfalla, dice la Woodman, i primi tempi non sono comunque semplicissimi in quanto ci si può ritrovare confusi, perché non ancora capaci di adattarsi alle regole del volo. Purtuttavia a quel punto il processo di trasformazione è avviato. È solo questione di tempo.
Partendo da tali evocativi passaggi, l’analista junghiana nel volume procede poi a condurre il lettore a comprendere come gli sforzi della donna “creativa” (termine da intendersi nel senso di “artefice dell’anima”), pur se cresciuta in una cultura patriarcale, abbia la possibilità di perseguire lo sforzo di ricerca del significato della propria esistenza. Può però accadere che la ricerca della propria identità vada a scontrarsi con le forze collettive maschili imposte che, faticando ad essere integrate, si possono nuovamente attivare nelle proiezioni che alcune donne fanno dell’immagine del padre (reale o immaginario che sia) sul loro uomo. La Woodman, fra i diversi esempi citati, fa riferimento alle “Principessine di papà”, giovani donne il cui padre immaturo le ha consciamente o inconsciamente spinte ad essere fin da piccole la “prima donna” per lui, rifiutando e sacrificando la loro individualità e portandole a rispondere unicamente ai bisogni del padre stesso. Tali donne spesso entrano in analisi proprio perché si trovano a fare i conti con la propria creatività bloccata, con il ripetersi di schemi distruttivi che minacciano il loro rapporto con gli uomini, con disturbi psicosomatici o blocchi nella sessualità. In quanto bambine spesso depositarie oltre che delle illusorie proiezioni idealizzate da parte del padre, anche dell’abbandono originario da parte della madre, respinte sul piano profondo nella loro individualità, hanno imparato fin da piccole a recitare un copione e a fare tutto ciò che da loro ci si aspetta, vivendo con grande timore i loro preziosi aspetti creativi.
La Woodman, nel declinare con attenzione e ricchezza di particolari le storie dei suoi analizzandi, i sogni e i relativi miti, da infine spazio nel volume anche alla trattazione di numerosi disturbi legati al tema della dipendenza, specie ai disturbi dell’alimentazione, “riti solitari” in cui il cibo viene divorato o rifiutato o vomitato, a rappresentanza del timore che i pazienti stessi hanno nei confronti della vita. Senza mezzi termini, potremmo dire, ci svela il tema del fare esperienza della Morte e della Rinascita con il quale caoticamente spesso ci si imbatte nei percorsi di cura legati ai problemi di nutrizione e dipendenza da cibo, che, come la stessa sottolinea, aprono al confronto con strutture psicologiche che hanno tratti comuni con i comportamenti da dipendenza da alcol, droghe, lavoro, sessualità promiscua. Nell’opera l’analista junghiana sottolinea quanto in questi casi divenga necessario comprendere il significato simbolico che il cibo rappresenta nella psiche individuale della persona. Spesso infatti per tali pazienti il cibo è la forza vitale, la Grande Madre con la quale “la saggezza del corpo cerca disperatamente di entrare in contatto”, vivendo una dipendenza che porta a negare loro stesse in una stretta congiuntura con la morte. Se infatti la coscienza è il Dio o la Dea presente in noi, spesse volte nel nucleo dell’energia feroce della dipendenza può risiedere ed essere svelata tale voce divina.
È interessante far notare come nell’edizione originale il libro si intitolasse “Pregnant virgin”, a testimonianza di come il testo fosse stato pensato per tutti gli uomini e le donne che sono alla ricerca della loro vergine pregna, ossia di quella parte esiliata che, giungendo a coscienza attraverso l'oscurità è in grado di raggiungere un nuovo livello di intimità spirituale. La crisalide, una volta rotta lascia infatti spazio ad una nuova vita in cui le farfalle che si autodeterminano giungendo a poter dire “Io sono”, divengono capaci di volare.
Ed è proprio rispetto a quest’ultimo passaggio che la Woodman, coraggiosamente, ci fa dono all’interno dell’ultimo capitolo, dell’esperienza che lei stessa fece nell’incontro con il suo “mondo oscuro sotterraneo”: giunta in India spinta da una visione romantica dell’Oriente, si ritroverà a prendere contatto con il suo essere donna mai passata attraverso i riti, che mai aveva preso residenza con il proprio corpo e che mai si era riconosciuta come parte del cosmo, a fare esperienza con quello che fu per lei un lungo passaggio dalla Morte alla Rinascita. Lontana da tutte le certezze e priva di tutti i suoi sistemi di sostegno, si troverà costretta a lasciare il bisogno di controllo e a fare esperienza estrema del proprio corpo mai sentito e accettato prima, dovendo decidere in qualche modo se riprendere contatto con esso tornando a vita: «ripresi conoscenza sul soffitto, col mio spirito che guardava giù al mio corpo impastato di vomito secco ed escrementi. Lo vidi giacere là, indifeso, e poi lo vidi inalare un respiro» (pag. 263). In un’esperienza che fu molto di più di un “out of body” si troverà così per la prima volta ad entrare realmente in possesso di un corpo mai vissuto, vivendo la cessazione del terrore della morte, attraverso una profonda esperienza di avvicinamento, potremmo dire, al transpersonale e all’archetipico che prepotentemente si svelava a lei e in lei. Lasciando al lettore la possibilità di giungere con i propri sensi a prendere contatto con la narrazione e i passaggi profondamente poetici, ma alquanto realistici, con cui la Woodman svela il misterioso e arduo viaggio che si ritrovò a compiere per giungere ad essere “pregna di sé”, teniamo stretto il suo invito nell’accostarci con sacralità a tale esperienza: «Se teniamo i semi negli occhi ci rendiamo prigionieri delle scure energie della terra, che può farci strisciare al suolo, sulla pancia. Se sfidiamo arrogantemente le leggi della natura, veniamo distrutti dai raggi e dai coltelli. Se osiamo porre la domanda: “Chi sono io?” allora ci impegniamo nella responsabilità di levigare la nostra strada verso la nostra verità interiore» (pag. 281).
Sinossi
Il testo “Puoi volare, farfalla” affronta e descrive un percorso femminile di trasformazione e di liberazione necessario a poter giungere ad una vera pienezza di sé. L’autrice, esaminando quanto la cultura e la civiltà abbiano imprigionato come in un “guscio” i valori archetipici femminili, descrive diverse storie di donne da lei incontrate all’interno della stanza d’analisi, facendo riferimento a sogni, miti e ricche narrazioni. Molte le riflessioni dedicate al tema della dipendenza e al sacrificio a cui spesso le donne sono esposte a causa delle aspettative e delle proiezioni del maschile che su di esse ricadono. Il testo si completa approfondendo attraverso una lettura analitica e simbolica le dinamiche inconsce sottostanti ai disturbi del comportamento alimentare e partendo da tali amplificazioni Marion Woodman traccia la strada attraverso la quale è possibile accedere ad una rinascita attraverso l’autodeterminazione, rompendo così il “guscio” e imparando a volare.
*Dr.ssa Sonia Colombo – Psicologa e psicoterapeuta specializzata presso Istituto ANEB, svolge attività in libera professione presso il proprio studio di Bergamo. È terapeuta EMDR e formatrice sia in ambito aziendale che socio-sanitario. È referente per Istituto ANEB dei rapporti con l’Ordine degli Psicologi della Lombardia, oltre a svolgere attività di docenza presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia.