Verso l’infinito. Storia di come un uccellino rinchiuso divenne Uomo e spiccò il Volo
di Sara Carretta
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Questo scritto principia da un epilogo, che si annuncia con una telefonata inattesa. Sono le 10 del mattino di una calda giornata di giugno quando Elena, la giovane figlia di Renato, mio paziente da tempo, mi contatta telefonicamente e sussurra con voce incrinata: «Devo darle una brutta notizia… Purtroppo papà non ce l’ha fatta». Sono presa da un senso di incredulità e stupore. Nella mia mente si affollano domande: in che senso? Cosa è mai accaduto? Per un istante mi aggrappo a una impossibile ricerca di logicità: Renato soffriva di molte problematiche, alcune delle quali erano andate esacerbandosi negli ultimi anni, ma… quale di queste si era aggravata al punto che non potesse chiamarmi personalmente? Elena, però, non lascia alcuno spazio ulteriore alle mie difese: «è mancato stanotte, in modo improvviso, forse per una difficoltà respiratoria. Non siamo riusciti a rianimarlo».
Esprimo il mio sentito cordoglio e saluto, dopo aver ricevuto le informazioni che riguardano le esequie. Rimango in silenzio, assorbita da un senso interno di sospensione. Poi, si fa strada nel mio animo un dolore profondo, i cui contorni divengono via via più tersi. Mi turba quasi immediatamente il ricordo di un presentimento non colto, che in un tempo irreale e rarefatto si tramuta in certezza. Durante il nostro ultimo appuntamento, avvenuto cinque giorni prima, Renato, onorando il consolidato accordo di portare nei nostri incontri la trascrizione delle sue riflessioni settimanali, mi lesse e lasciò uno scritto che mi aveva molto colpito. Avevo espresso ammirazione sincera. Lo riprendo e scorro le sue parole precise, così insolitamente ordinate e chiare, il cui senso ora si dilata in un tempo trascendente e assoluto. Affiora una sensazione di stupore, che mescola un irrazionale senso di sollievo al dolore della perdita: l’Anima di Renato sapeva, quando scrisse. E si stava preparando.
Questo articolo si propone di onorare la complessa vicenda umana di Renato e, se possibile, la sua memoria, concentrandosi nel restituire dignità e visibilità alla sua più difficile sfida: la vita assieme a colui che definiva «l’amico invisibile»: il disturbo bipolare, che lo accompagnò per un lungo tratto di vita, ma che gli fu diagnosticato solo otto anni fa.
Ritengo di assecondare un desiderio da lui espresso in vari modi, durante il nostro percorso di terapia: rendere testimonianza del suo cammino ad altre persone affette dal disturbo, a partire dal momento della diagnosi, vissuto come liberatorio, alle sofferenze che lo precedettero e che lo seguirono. Accanto al disturbo bipolare, Renato affrontava diverse patologie somatiche coerenti con la sua struttura psicosomatica così profondamente divisa. Nel corso della terapia, imparò ad accettare dolorosamente gli aspetti di sé che più detestava e ad accogliere con maggiore consapevolezza il valore profondo dello sforzo che compiva in questa convivenza, nonostante fosse supportato da una severa terapia farmacologica.
L’aspetto sul quale desidera concentrarsi questo breve scritto è quello trasformativo, cui verrà data voce attraverso un percorso scandito da alcuni elaborati emblematici di Renato, scelti tra i molti che egli prese l’abitudine di presentare durante gli incontri di psicoterapia, nell’intento condiviso di contenere e riordinare il flusso delle sue narrazioni.
Durante il nostro lavoro spiegai a Renato che, cercando relazioni simboliche fra i vari aspetti della sua storia, dalla quale prendeva forma e significato la sua malattia, avremmo trovato insieme un senso di progettualità esistenziale unitaria, nascosta nelle pieghe dei suoi eccessi ma testimoniata, al contempo, dal fatto che le afflizioni del corpo e della mente non erano mai riuscite a tarpare le ali del suo immaginario, né avevano placato il desiderio di esprimere i suoi sentimenti. Man mano che conoscevo Renato, infatti, mi rendevo conto che quando lo ascoltavo riportare in successione ricordi antichi ed episodi attuali finivo per essere confusa dal loro intrico, rappresentato dall’alternanza di momenti drammatici a vicende grottesche, sulle quali pesavano anche i suoi eccessi e molte incongruenze, tutte attraversate da difficoltà relazionali e da esperienze familiari di cui non si faceva una ragione. Talvolta faticavo a seguire il suo filo narrativo. Era evidente, tuttavia, che dietro i suoi discorsi piroettanti premevano contenuti emotivi intensi: si celava un mondo sommerso cui dare forma coerente e, forse, qualcosa di più profondo, che non aveva trovato altra via d’uscita se non guizzar fuori come eccesso patologico. Perché non iniziare a trascrivere questo mondo, così da lasciarne una traccia meno confusa?
Renato, seguendo il mio suggerimento, iniziò a contattare in modo differente le sue parti ferite. La sua energia espressiva debordante, solita manifestarsi come una miscela esplosiva di ricordi, emozioni e agiti, andò decomprimendosi. Nel lavoro terapeutico le sue qualità cognitive presero a strutturarsi ed egli imparò, come ebbe a scrivere, a «strappare via via all'istinto frammenti emotivi su cui costruire riflessioni» riguardanti la sua storia personale.
Nell’ultima settimana della sua vita Renato, riuscendo a recuperare una parte animica profonda, si preparò a concludere la sua esistenza umana facendo, nell’esperienza evocativa del corpo sottile, un lavoro sulla terapia, all’insaputa del terapeuta stesso. Il suo commiato lascia un elaborato che rappresenta l’eredità che Renato consegna a sé stesso, alla sua malattia, alla sua famiglia, alla cura terapeutica.
AUTRICE: Sara Carretta – Psicologa e Psicoterapeuta ANEB, terapeuta EMDR, in formazione continua presso la Scuola di Supervisione dell’Istituto ANEB. Curatrice area social ANEB e collaboratrice della rivista MATERIA PRIMA
References
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Immagine
Herbert James Draper, The lament for Icarus, Londra, Tate Britain, 1898